giovedì, maggio 18, 2006

Lavoro senza persona

Ho trovato il breve intervento di Bifo su Materiali Resistenti, dopo averlo letto ho percepito che la visione proposta era come sempre positivamente eccedente rispetto all'impostazione - anche di certe aree politiche di movimento, così come della lettura critica "mainstream" della precarietà - che uno si aspetta nella concettualizzazione del lavoro precario. Per questo, che è uno dei pregi principali del pensiero di Bifo, ho deciso di postarlo sul blog, perchè rappresenta un tentativo di articolare complessivamente le coordinate spazio-temporali del lavoro precario, laddove forse non è corretto definirle semplicemente in negativo, ossia sottolineando l'impossibilità di distinguere tempo di lavoro e tempo di vita.
Ma anche perchè una dei passaggi di questo intervento - sottolineato qui sotto - mi pare ponga e apra una questione che nella mia testa non trova pace, ossia la debolezza della concettualizzazione e della problematizzazione non della precarietà del lavoro ma di quella che abbiamo definito come precarizzazione della vita. La definizione di quest'ultima è oggi una mera estensione della precarietà di lavoro, una lettura che a me pare soffrire del ricorso a griglie interpretative che non si distaccano definitivamente da quelle novecentesche, inutilizzabili quindi. E io penso - come mi sembra anche per Bifo - che sia essenziale mettere al centro delle nostre riflessioni la più generale "dissoluzione della persona come agente dell'azione produttiva e la frammentazione del tempo vissuto".


di Franco Berardi (Bifo)

La frammentazione del tempo presente che definiamo con il termine di precarizzazione si rovescia nell'implosione del futuro.
Come dice William Gibson in "Pattern recognition": "Non abbiamo futuro perché il nostro presente è troppo volatile. La sola possibilità che ci rimane è la gestione del rischio. La trottola degli scenari dell'attimo presente."
Il processo di lavoro sociale è innervato dalla rete digitale, che funziona come un superorganismo capace di sussumere e fluidificare frammenti di tempo umano astratto, uniformato, ricombinabile. La nozione marxiana di "lavoro astratto" definiva un processo di scorporazione dell'atto lavorativo dalla sua specifica utilità concreta e quindi dalla forma particolare di abilità: nel processo di astrazione l'erogazione di lavoro perde sempre più i suoi caratteri di individualità, di specificità e di concretezza. Nel passaggio dal sistema di macchine tradizionali al sistema della rete il processo di astrazione coinvolge la natura stessa del tempo umano che viene coinvolto. Al capitale non occorre più usufruire dell'intero tempo di vita di un operaio, gli occorrono frammenti isolati di tempo, istanti di attenzione e di operatività. Il lavoro necessario per far funzionare la rete non è più lavoro concentrato in una persona. E' una costellazione di istanti isolati nello spazio e frazionati nel tempo, ricombinati dalla rete, macchina fluida. Per poter essere incorporati dalla rete i frammenti di tempo lavorativo debbono essere resi compatibili, ridotti a un unico formato che renda possibile una generale interoperabilità.

Negli anni Settanta la recessione economica e la sostituzione di lavoro con macchine a controllo numerico provocarono la formazione di una vasta area di non garantiti. Da allora la questione della precarietà è divenuta centrale. Nei decenni successivi quel che allora appariva come una condizione marginale e temporanea è divenuta forma prevalente nei rapporti di lavoro. La precarietà non è più una caratteristica marginale e provvisoria, ma la forma generale del rapporto di lavoro in una sfera produttiva digitalizzata reticolare e ricombinante.
Con la parola precariato si intende comunemente l'area del lavoro in cui non sono (più) definibili delle regole fisse relative al rapporto di lavoro, al salario, alla durata della giornata lavorativa.

L'essenziale non è la precarizzazione del rapporto giuridico di lavoro, ma la dissoluzione della persona come agente dell'azione produttiva e la frammentazione del tempo vissuto.
Il ciberspazio della produzione globale é un'immensa distesa di tempo umano de-personalizzato, cellularizzato e ricombinabile. Nella produzione industriale il tempo di lavoro astratto era impersonato da un portatore fisico e giuridico, incorporato in un lavoratore in carne ed ossa, con un'identità anagrafica e politica. Nella sfera dell'info-lavoro non c'è più bisogno di comprare una persona, otto ore ore al giorno tutti i giorni. Il capitale non recluta più persone, ma compra pacchetti di tempo, separati dal loro portatore occasionale e intercambiabile.
Il tempo de-personalizzato diviene il vero agente del processo di valorizzazione, e il tempo de-personalizzato non ha diritti, non può rivendicare alcunché.

L'estensione del tempo è minuziosamente cellularizzata: cellule di tempo produttivo possono essere mobilitate in forma puntuale, casuale, frammentaria. La ricombinazione di questi frammenti è automaticamente realizzata dalla rete. Il telefono cellulare è lo strumento che rende possibile la connessione tra esigenze del semio-capitale e mobilitazione del lavoro vivo ciberspazializzato. Il trillo del cellulare chiama il lavoratore a riconnettere il suo tempo astratto al flusso reticolare.

Il capitale vuole essere assolutamente libero di spaziare in ogni angolo del mondo per scovare il frammento di tempo umano disponibile ad essere sfruttato per un salario più misero.
La persona è giuridicamente libera, ma il suo tempo è schiavo. Un tempo che gli appartiene, perché è a disposizione del ciberspazio produttivo ricombinante. Il tempo di lavoro è frattalizzato, cioè ridotto a frammenti minimi ricomponibili, e la frattalizzazione rende possibile per il capitale una costante ricerca delle condizioni di minimo salario. Schiavismo cellulare.

Nessun commento: