mercoledì, maggio 17, 2006

Persone ridotte a corpi

Pubblico qui sotto un'intervento dell'Associazione Antigone trovato nel sito www.ristretti.it, sito completamente sviluppato dai detenuti del carcere di Padova e delle carcerate della Giudecca. Una storia quella raccontata purtroppo come tante che quotidianamente chi opera in carcere si trova sotto agli occhi. Ogni tanto fare uscire queste storie dalle quattro maledette mura può servire a non lasciarci intorpidire dal non-detto generalizzato sulle carceri.

In questi giorni il nuovo Presidente della Camera ha richiamato il Parlamento ad una azione urgente per salvaguardare la situazione carceraria, oggi il nuovo governo ha messo come Guardasigilli l'on. Mastella... sinceramente non penso che questo aiuterà l'approvazione nelle Camere di un indulto e di un'amnistia, ma non resta che sperarci ancora una volta.


Associazione Antigone, 3 maggio 2006

G.M. ha vissuto per anni in una cella sporca e maleodorante del carcere romano di Rebibbia. Buttato sul letto, incapace quasi di ogni gesto, i rifiuti si ammassavano sul pavimento senza che nessuno avesse il compito di fare pulizia. Oggi G.M. è ufficialmente dichiarato invalido psichico al 100%, ma già da oltre 15 anni vive in un mondo vago che poco ha a che fare con il nostro. A chi si avvicinava alle sbarre della cella, faceva strani discorsi su Gesù, oppure restava in silenzio, gli occhi negli occhi, fino a quando l’operatore o il visitatore occasionale non decideva di andarsene. Non riconosceva le persone che aveva attorno. I medici gli davano grosse dosi di tranquillanti, che lui beveva avidamente. Ogni tanto prendeva qualche calcio dagli agenti, irritati da quel suo modo di fare assente. Magari finiva in ospedale per uno o due giorni.

Dopo qualche mese veniva rimesso sulla via Tiburtina, in mano un sacchetto nero della spazzatura con i pochi stracci con cui era entrato, camminava con il busto sporto in avanti in chissà quale direzione, dormiva dove capitava, qualche volta ritrovava la strada di casa, citofonava alla madre, saliva e si faceva fare una doccia, poi tornava per strada. In nottate di freddo, capitava che aprisse un’automobile qualsiasi e si mettesse a dormire nell’abitacolo. Gli davano qualche mese per furto d’auto. La macchina giudiziaria, rapida e implacabile dove è necessario, lo rimandava in poche ore nella cella zozza di Rebibbia. Passava qualche altro mese e il giro di giostra si ripeteva analogo. Talvolta a G.M. veniva affiancato un "piantone", un altro detenuto con il compito esplicito di stare vicino a chi non è autosufficiente. Non è previsto che sia l’istituzione a farlo.

Il piantone gli rubava quelle poche sigarette che qualche volontario di tanto in tanto gli andava portando, ma lo aiutava a lavarsi e ad andare in bagno. Qualche settimana fa, la madre e la sorella di G.M. si sono rivolte a noi in uno stato di disperazione. Il loro congiunto non era più a Rebibbia e non sapevano come fare a ottenere notizie. Ci siamo informati, e abbiamo saputo che a G.M. è stata applicata una misura di sicurezza di due anni. Ma quale società si sente insicura se G.M. cammina per strada? È stato trasferito in una colonia agricola in Sardegna.

Nessun famigliare sarà mai in grado di andarlo a trovare così lontano da casa. Invalido totale di mente, G.M. ha avuto la misura di sicurezza che si applica ai delinquenti abituali, professionali e per tendenza. Di tre mesi in tre mesi, ha effettivamente trascorso quasi un’intera vita nel carcere romano di Rebibbia. Nella più realistica delle ipotesi, nessuno psichiatra lo prenderà mai in cura se non per riempirlo di tranquillanti, uscirà dal ricordo dei pochi operatori che ve lo hanno mai fatto entrare, e vivrà gli anni che gli restano gettato come una cosa sulla branda di una cella. Come Vito De Rosa, che ha trascorso 51 anni sottoposto a una misura di sicurezza in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario prima che per puro caso un Consigliere Regionale e Antigone si accorgessero di lui e mettessero in moto il meccanismo per fargli avere la grazia. E prima che, graziato, trascorresse due miseri anni e mezzo in una comunità, ridotto ormai a corpo e niente più, e lì questo corpo morisse di una normale malattia, esattamente un mese fa.

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