giovedì, maggio 04, 2006

RAPPRESENTANZA E NO

Questa di seguito è una mail di mazzetta girata sulla mailing-list Neurogreen, è secondo me interessante perchè prova ad affrontare uno dei nodi irrisolti che chi prova a fare politica di "movimento" - ma non solo - incontra e su cui è difficile elaborare una sintesi che ne permetta il superamento... parte da una querelle tra Alex Foti - candidato per i Verdi come consigliere comunale a Milano - e la crew di ChainWorkers.

L'idea del NO alla rappresentanza non è di oggi, come la recente polemica non è che
la riproduzione di altre polemiche che abbiamo già visto. Il no alla rappresentanza ha motivazioni che ritengo nobili e condivisibili che non starò a ripetere ed è da tempo parte della "nostra" ( nostra nel senso di buona parte dei movimenti) cultura e del nostro agire politico, ma è un NO che imho va gestito riempiendolo di senso. Il no alla rappresentanza nasce dalla constatazione che la politica così come è strutturata e vissuta chiude la porta alla partecipazione e conduce alla creazione di un ceto politico, una classe, autoreferenziale e inevitabilmente destinato a divenire una elite che si interfaccia con altre elite, svuotando di senso non solo la parola democrazia, ma anche la stessa cittadinanza, intesa non più come diritto attivo a definire le politiche di una comunità (qualsiasi), ma come mero diritto/dovere all'elettorato attivo, che poi risulta per nulla attivo. Il NO alla rappresentanza è lo strumento che dovrebbe servire a contrastare quella win-win solution che permette al ceto politico di restare in sella anche quando proponga al voto alternative che non sono tali o l'assoluto conformismo ad un modello di sviluppo o a una politica in modo da frustrare l'esigenza dell'esistenza di proposte politiche altre. Per questo molti di "noi" da tempo agiscono "a titolo personale" (do you remember?) o al massimo a titolo di gruppi che rifiutano di identificarsi in un rappresentante. In questa scia molti hanno fatto la loro carriera (professionale) in splendida solitudine, e "a titolo personale" sono da anni presenti nelle istituzioni (anche in magistratura, anche se non si nota molto) focalizzando la loro azione micropolitica su un'attività abbastanza oscura, non rivendicata come tale, ma che esiste. Quest* solitar** esistono, anche se ovviamente pesano meno di quanto potrebbero, mancando di coordinamento e schivando loro per prim* il riconoscimento. La cospirazione (precaria e no) conta molti cospiratori, dei quali moltissimi si riconoscono nel rifiuto della rappresentanza. I limiti di questo NO diventano evidenti quando il NO diventa pretesto, o occasione, o accidente per tirare linee di demarcazione invalicabili, che frantumano il fronte degli "altri mondi possibili" molto al di là del ragionevole e di qualsiasi opportunità; scatenando il frazionismo all'italiana che è lo stesso che devasta la sinistra istituzionale, ma che non contagia la destra che non ha (in toto) altre aspirazioni che la gestione del potere e la creazione di reti amicali funzionali al suo esercizio e alla sua conservazione.
Sul fronte avverso alla destra questa unità nel potere dilaga, ma trova significative resistenze in parti della sinistra che non hanno nessun interesse alla conquista di un potere che viene sentito inutile quando sia fine a se stesso. Il dramma è che il rifiuto del potere diventa autolesionista quando sia inteso in senso assoluto o come dogma, perchè è ovvio che se quelli "nostri" lo rifiutano, il vuoto sarà riempito da altri. E con il potere gli altri si impadroniscono anche delle chiavi della comunicazione e dell'immaginario, frustrando anche i ciclopici sforzi per far conoscere la possibilità dell'esistenza di altri mondi possibili, che tanti di noi profondono da anni con risultati alterni, ma dalla somma indubbiamente inferiore alla necessità e alle energie profuse. Tutto questo pippone per dire che dovremmo trovare un sentire condiviso che ci permetta -almeno- di non aggredire quelle persone che sentiamo "nostre" o che provengono dagli ambiti "nostri" qualora decidano di lanciarsi senza rete e di provare a farsi "rappresentanti".
Non mi riferisco al caso di lx/CW, ma vale anche per questo caso, come vale per le esperienze tentate da parte dell'ex disobbedienza. Mi viene in mente il caso della Panzino, che pur gestito malissimo ha sicuramente raccolto più merda di quanto meritasse (non parlo di critiche, ma di merda vera), anche se non era chiaramente alla presa di alcun potere. Forse ci sfugge che questi esperimenti (anche la candidatura di lx, che in definitiva è al "posto" modestissimo di eletto in un comune) hanno un respiro molto limitato; molti tendono a credere che la "purezza" di chi si dichiara "altro" venga irrimediabilmente compromessa una volta entrati nelle istituzioni, altri temono che non avendo i "movimenti" alcun controllo su quanti provino la scalata, questi siano destinati inevitabilmente a essere trascinati nel gorgo della politica autoreferenziale. Timori che non possono certo essere fugati lasciando solo chi ci prova o facendogli una guerra che neanche a Berlusconi... Il nostro modo di fare politica produce errori, come li produce la politica istituzionale,perchè siamo umani e quindi destinati a sbagliare. Lo stile della politica "dal basso" nel nostro paese (per altri non saprei esprimermi)però si risolve nell'assoluta intransigenza verso gli "errori", da parte di tutt* (in contrasto con lo stile della politica istituzionale, nella quale per quanti errori uno faccia finisce al 99% a tarallucci e vino e a scurdammoce o' passato). Questa intransigenza (imho eccessiva, come tutte le posizioni vicine al dogmatismo) porta inevitabilmente alla progressiva frammentazione, per non parlare della creazione dei conflitti assurdi che oltre ad essere sommamente autolesionisti a volte sconfinano sinceramente nel ridicolo. Imho sarebbe il caso di ragionare su questo meccanismo, e di cercare un momento di sintesi capace di contrastare il frazionismo, o quel meccanismo per il quale la politica "altra" sembra spesso una gara tra chi è più puro (che poi sembra quella a chi ce l'ha più lungo) e si risolve in un intraconflitto (non meno autoreferenziale di quelli della politica istituzionale), che depotenzia la nostra capacità di generare quel conflitto (lotta) verso l'esterno che tutt* riteniamo ineludibile passaggio al cambiamento. Un momento di sintesi che non deve essere una unitarietà acritica, ma la condivisione di modalità che rifiutino -al meno- l'aggressione selvaggia inter nos, e che consentano una multiformità di approcci senza che le differenze (sante differenze) diventino invalicabili muri oltre i quali facciamo fatica a ragionare e a condividere il condivisibile. Un momento che -al meno- ci permetta di evitare le indecenze e la stupidità simili a quelle che hanno trionfato dopo l'11 marzo; quando a un'azione obbiettivamente sbagliata è seguita una risposta assolutamente stonata, poco intelligente (non mi riferisco alle critiche argomentate) e inefficace, che come in altri casi ha messo in enormi difficoltà gente che avrà anche sbagliato, ma che sicuramente non merita la risposta repressiva che ne è seguita, visto che nel nostro paese una carcerazione del genere per fatti del genere è incongruente con la stessa realtà giuridica. Imho sarebbe il caso che in occasione di "errori" percepiti come tali, ci abituassimo a discuterne senza cogliere l'occasione per bastonare quell* che magari ci stanno antipatici o che non sentiamo "vicini", e sarebbe il caso introdurre il costume che chi quegli "errori" li commette, sia pronto a discuterne apertamente senza sentirsi nemico, o senza considerare nemico che argomenta critiche legittime. Allo stesso modo il rifiuto della rappresentanza non può essere un dogma marmoreo per il quale se un* accatta o mira a un posto in qualche istituzione (quartiere, comune, parlamento) diventa automaticamente un infame o un "venduto" a prescindere, anche se in perfetta buona fede, o se sull'onda di una convinzione personale, è più interessat* a portare i temi "sovversivi" nel campo avverso che la "potere". Penso che sia giusto concedere a chi tenta la via istituzionale almeno il beneficio del dubbio, o la possibilità di essere giudicato per quello che farà e non per "dove" ha deciso di provare a farlo. Questo imho taglierebbe le gambe a tanta fuffa, e a tanti fuffettari e infamatori di professione, che obiettivamente sono solo un peso; come taglierebbe le gambe a molti provocatori professionali che abbiamo addosso peggio di un cancro (e mi vengono in mente certe infamate a Blicero su Indy ieri, la merda tirata a Farina o ad altri in passato...cose che penso abbiate tutt* presenti); senza dimenticare che potrebbe alzare di parecchio la "qualità" e l'efficacia del nostro agire. Cerchiamo di portarci reciprocamente maggiore rispetto, cerchiamo di introdurre un diverso tipo di relazione, cerchiamo di ragionare sugli errori e sulle scelte senza trasformarli in pretesti per scomuniche ridicole e senza reagire alle critiche chiudendoci nei rispettivi autismi, appartenenze o ghetti; la diversità è una ricchezza quando è accettata, elaborate e diventa una somma di diversità capace di assumere una configurazione utile, diversamente si trasforma presto in uno strumento di emerginazione che porta all'isolamento. Che è il contrario della condivisione, del concetto di rete come di quello di "sciame", ed è IL male per chi come noi non abbia altre ricchezze che il confronto e la solidarietà nella lotta.


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