martedì, ottobre 24, 2006

La teoria del valore e YouTube

Circa un anno fa lessi un breve articolo che, a partire da una riflessione generale e poi particolare intorno ad un libro specifico, mi affascinò parecchio, più che altro per la buona sintesi con cui veniva presentato un problema e, al contempo, evidenziata una critica. In questi giorni, per uno strano gioco di ricorsi, mi sono trovato a spolverare my brain in cerca di qualcosa che mi permettesse di ritrovare quel breve articolo che a partire da una disamina breve e incisiva dei mutamenti strutturali e in particolare del lavoro poneva una critica rispetto all'attuale validità della Teoria del valore in Marx.

Alla fine ho ritrovato la fonte: un articolo di Antonio Caronia dell'ottobre 2005 pubblicato su Socialpress (si trova qui), che in realtà a rileggerlo in sé non dice molto ma che per me era stato alquanto evocativo e proficuo, tanto da lasciare una traccia nella mia memoria.

La parte dell'articolo che mi interessa qui richiamare è quella in cui Caronia richiama il libro E-Work. Lavoro, rete, innovazione di Sergio Bellucci - fra l'altro responsabile di rifondazione per la comunicazione e le nuove tecnologie.
Il libro in questione non l'ho letto - certe cose si rimandano per una vita - ma è interessante ciò che fa notare a proposito Caronia, secondo me proponendo una critica che tocca generalmente anche altri lavori a proposito delle "nuove" forme del lavoro nel capitalismo cognitivo: l'idea, in sintesi, che si possa considerare tuttora valida la Teoria del valore di Ricardo e poi di Marx, anche in condizioni strutturali che fanno delle dimensioni comunicativa e linguistica - attraverso la mediazione delle tecnologie telematiche - le risorse fondamentali del processo produttivo e, quindi, della valorizzazione capitalistica.

Scrive Caronia:
"Bellucci ha ben presente tutto ciò [il ruolo delle capacità cognitive e delle tecnologie telematiche, n.d.r.], e cerca di ricavarne alcune direzioni di ricerca per la teoria e per la prassi, sforzandosi per esempio di mettere in relazione l’avvento del digitale con alcuni snodi del pensiero scientifico e filosofico fra Otto e Novecento (dall’algebra di Boole alla meccanica quantistica alle teorie del caos e della complessità).
È vero che non tutto ciò che scrive al proposito è convincente, e alcuni passaggi appaiono forzati e un po’ meccanici. Ma non stanno qui, a mio parere, i limiti maggiori del suo libro, quanto in una "timidezza" teorica che a volte gli impedisce di rimettere in discussione punti decisivi della teoria e delle analisi tradizionali, sì che spesso egli sembra non riuscire a trarre tutte le conseguenze implicite nelle sue stesse premesse."

"È ciò che accade su un punto teorico decisivo come la teoria del valore, che Marx riprese da Ricardo, e che collega il valore di scambio di una merce al tempo di lavoro necessario per produrla. Bellucci (pag. 62) sembra ritenerla ancora valida, mentre a me pare che proprio questa sia una delle parti più caduche del quadro teorico marxiano, tanto più oggi quando (come abbiamo visto) il processo di valorizzazione non appare più confinato ai tradizionali luoghi produttivi (la fabbrica), ma si allarga tendenzialmente a tutta la società."

Certamente la parte che lasciò un segno nella mia memoria fu quella qui sopra sottolineata, in cui appunto si pone il problema di come possa la teoria del valore dar conto dei processi di valorizzazione capitalistica che innervano il capitalismo cognitivo. E certamente mi ritrovai nel individuare nella teoria del valore la parte oggi più dubbia della teoria marxiana.

Da Wikypedia: "L'economia politica ha sempre cercato di dare risposta alla domanda: da dove deriva il valore? Le risposte sono state assai divergenti. Si va dalla scarsità dei beni disponibili, alla loro utilità, alla necessità di remunerare i fattori produttivi, includendovi il capitale e considerando la sua remunerazione – il profitto – come la ricompensa per l'astinenza del capitalista, il quale rinuncia al consumo per impiegare produttivamente la propria ricchezza, e così via." [qui]

Altrettanto interessante è per me il legame fra il processo di valorizzazione capitalistica e i luoghi della produzione: la produzione di fabbrica - pur ancora necessaria e ampiamente diffusa - ha perso la sua egemonia, ossia la sua capacità di "comandare" le diverse forme del lavoro, mentre è emerso con prepotenza il territorio come elemento fondamentale nella produzione di valore, tanto che alcuni autori, nel riferirsi ai rapporti di produzione odierni, ritengono si debbano considerare oltre che Capitale e Lavoro anche il territorio.

Cercherò di tornare in altri post sul ruolo del territorio.

Ora vorrei tornare ai ricorsi di cui parlavo all'inizio di questo post, infatti questo articolo di Caronia mi è stato fatto tornare alla mente da una chiaccherata con un amico impegnato in letture seventies sulla Teoria del valore in Marx (non proprio per sua scelta).

Poi alcuni giorni fa un fatto di cronaca economica ha fatto scattare un ulteriore connessione con questo articolo, quasi una conferma implicita che la teoria del valore ha bisogno quanto meno di una revisione: la vicenda è quella di YouTube e del suo acquisto da parte del colosso Google.

Conosciamo YouTube, anche solo perché su questo blog sono finiti alcuni video da lì scaricati, ma è bene dire in due parole che cosa "produce" YouTube, "chi" e "come" lo produce.
Da Wikypedia: "
YouTube è un sito molto popolare a livello internazionale che consente agli utenti l'upload, la visione e in generale la condivisione di video. YouTube è stato creato nel febbraio del 2005. [...] La popolarità di YouTube è superiore a quella di Google Video, poiché consente l'upload di video creati da chiunque. Infatti YouTube ospita video di: show televisivi, video musicali e video personali fatti in casa dagli utenti. I video ospitati su YouTube possono inoltre essere facilmente inclusi in siti web e blog utilizzando direttamente il codice HTML fornito da YouTube." [qui]

In questa definizione troviamo le risposte alle domande poste poco sopra (evidenziate in corsivo), concludendo che YouTube di fatto mette semplicemente a disposizione una piattaforma che permetta la condivisione di video. Una specie di post-televisione, dove l'utente guarda ciò che vuole e con semplicità offre agli altri utenti suoi materiali video (di ogni genere), all'interno di una struttura agli antipodi di quella della televisione: nessun palinsesto, nessuna struttura.

YouTube, in due parole, è ad oggi un'azienda a zero profitti. La cosa più interessante è che a fronte di un'impresa che non produce nulla il colosso Google (che a sua volta non produce nulla, ma almeno ricava profitti dai serivizi che fanno contorno al motore di ricerca) ha acquisito YouTube per la cifra di 1,65 miliardi di dollari.

Eravamo già abituati a "follie" del genere, ma certo nel contesto di questo post si capisce meglio che cosa possiamo intravedere dietro operazioni del genere. Certo difficilmente potremo ancora pensare che il
valore sia oggi semplicemente determinato dalla quantità di denaro alla quale un bene od un servizio può essere scambiato...

E alla fine un omaggio alla rivincita dei nerds che continua: Steve Chen e Chad Hurley sono i fondatori di YouTube che hanno chiuso l'affare con Google, questo sotto è il video con cui annunciano la vendita...







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