venerdì, febbraio 23, 2007

**Alimenta la catena di San Precario...

...contribuisci a spezzare le catene della precarietà**

Nei primi giorni di questo caldo gennaio 2007 Wind/Infostrada ha comunicato, prima informalmente e poi ufficialmente, di voler esternalizzare alcuni servizi e, conseguentemente, i 275 dipendenti del call center di Sesto San Giovanni ( Mi )

Le lavoratrici ed i lavoratori hanno risposto con prontezza, compattezza e con grande determinazione ma l'azienda, con atteggiamento sprezzante, ha comunicato di non voler recedere assolutamente dai propri perversi intenti.

Alla sesta settimana di agitazione il morale è ancora alto ma la stanchezza, unita ai tentativi dell'azienda ( con forti connivenze sindacali !) di corrompere e dividere, sta corrodendo la tenuta nervosa e la sensazione di non poter farci niente si insinua nei cuori dei/delle Winders

Non possiamo tacere. La precarietà avanza ovunque ed ovunque deve essere contrastata.

Se non poniamo un argine alla perdita di diritti, delle garanzie e allo svilimento delle nostre retribuzioni ben presto ci verrà chiesto di donare l'anima alle imprese in cambio di una pacca sulle spalle ed un calcio in culo.


Ciò che accade in Wind è anche un tuo problema. E' un problema di noi tutti/e Ti chiediamo, quindi, che tu sia o meno un cliente Wind, di partecipare alle due azioni di supporto:

ACTION 1 -> MAIL STRIKE
Compila il form e intasagli la mail.

ACTION 2 -> CALL STRIKE lunedì 26 febbraio 007 dalle 9 alle 12 chiama, chiama e richiama ancora il 156. Non gioire se prendi la linea, gioisci se trovi occupato !

Partecipa alle azioni da questo link
[ http://www4.autistici.org/ip//staticfiles/petizione.php ]


Banner Supporto Wind

mercoledì, febbraio 21, 2007

Radical Europe in Milan

Sabato io sono stato a Vicenza a manifestare, una manifestazione importante e bella, in cui ho avuto occasione di incontrare tante sorelle e fratelli che non vedo spesso e che mi hanno scaldato il cuore. Ma qui non voglio parlare di questo. Vicenza, per chi ha orecchio parla da sé.

A Milano nella stessa giornata andava in scena il brainstorming n_europeo lanciato da neurogreen, la cui discussione partiva dal Manifesto A4RE che qui avevo postato qualche mese fa. Sarei dovuto esserci, mi dispiace aver marcato assenza perché è un processo a cui guardo con estremo interesse. Quindi di seguito riporto il resoconto scritto da Alex Foti sull'assemblea di sabato, in pieno stile fotiano (da neurogreen)

Sono stati giorni intensi e coinvolgenti che hanno cementato la volontà collettiva euroradicale di neurogreen, flexblues, piratgruppen/flexico. Da rattazzo ci sono state giovedì le prime
cospirazioni ricombinanti. Poi venerdì sera in niguarda un megarinfresco organizzato da paolopuntoebasta ed ecomutantz ha pumped up da vibe x la convergenza dei tre affluenti alla schighera, dove sono arrivati a ondate prima i danesi, poi i milanesi, quindi brian e poi i belgi. Al Pini sono venuti 4 da liegi e 1 da bruxelles, 1 da graz, 1 da londra, 1 da parigi, 4 da copenhagen, varie/i neurogrini da milano, roma, bologna.
Una congrega di menti formidabili che vanno dal
mediattivismo precario-sovversivo alle campagne di ecologia urbana, all'azione diretta contro la persecuzione degli immigrati, alla teoria sociale, estetica e della comunicazione, all'informazionalismo p2p, alla conoscenza dei punti deboli della governance europea, al costituzionalismo federalista, al situazionismo in salsa queer alla visionarietà insopprimibilmente radicale: una banda di matti immersi nel verde di un ex manicomio;)

Dopo l'apertura dell'asblea e il riepilogo della discussione online (ci rinfacciano europa e riformismo ma nn hanno alternative politiche da proporre), Nikolaj ha posto così il problema: come attivisti ci vogliamo porre una blue ocean strategy o una red see strategy? Strategia del mare sgombro, è chiaro. E il demoradicalismo europeo sembra proprio essere tale, come abbiamo già verificato con la crescita dell'euromayday.


Ci siamo divisi in 3 sottogruppi che avevano il compito di discutere natura e funzioni dell'associazione, e campagne e messaggi di attivazione.
Il gruppo di discussione di Brian Holmes ha sintetizzato così il compito di neuroradical europe (a brian piace così: a voi?): né una rete né un partito ma un'associazione che si pone il compito di fare da interfaccia fra movimenti negli stati-nazione e livello transnazionale europeo così da costituire un layer che schiacci il piano astratto del capitale e della tecnocrazie europei per farlo aderie alla morfologia concreta delle reti sociali e delle attivazioni locali.

Il gruppo di Paolo Vern ha delineato una strategia offensiva sui diritti fondamentali tale da dar vita a una advocacy x i diritti (ECLU) con assistenza legale e campaigning che riapra il dibattito europeo.

Il mio gruppo ha discusso dell'interconnessione ed esaltazione delle campagne di ecologismo urbano nelle metropoli europee e ha soppesato vantaggi e svantaggi di un approccio populista alla comunicazione. In particolare si è diviso sul costituzionalismo europeo. Europe is boring, radical europe shall not be, come ha sottolineato la ventenne Pil. Il referendum paneuropeo nn scalda gli animi e prevale nell'asblea la chiusura ai processi elitisti di ricomposizione costituzionale che vogliono cancellare il doppio no.

Si è quindi passata alla plenaria (30-40 persone). Nicola ha sottolineato l'importanza di un'opposizione all'intergovernamentalismo teso a evitare che le decisioni sulla costituzione europea si svolgano nelle porte chiuse di vertici come quello a berlino il 24-25 marzo. Una comune strategia offensiva sui diritti fondamentali è sembrata a molti il modo per uscire dall'impasse dell'europeismo liberale vs antieuropeismo noglobal e affermare un europeismo neuroradicale.
Gli ecomutanti hanno ricordato l'8 dicembre giornata globale 007 contro il cambiamento climatico ed è stata messa in agenda della costituenda associazione. E' stata affermata con forza la volontà di fare un sito che contenga testi radical multilingue sull'opposizione sociale ed ecologica in europa.

La sera cena in bovisa e party inenarrabile in conchetta in un'atmosfera di gaiezza contagiosa davvero insolita per milano.

Morale: think tank, subvertising, advocacy x i diritti civili, azioni di pressione sociale, ecologismo urbano reticolare, queste le cose che vogliamo sviluppare insieme con l'associazione. La discussione continua su una lista con dominio su agora.eu che partirà a breve, nn appena i danesi postano la versione condensed del documento.


5, come le dita della mano, sono i colori dell'europa radicale:

mignolo pinky, anulare silver, medio black, indice rosso, pollice verde.

martedì, febbraio 20, 2007

Manituana... ci vediamo lì...


LIVELLO 1
http://www.manituana.com

Ci vediamo lì.


Con questo messaggio secco secco il collettivo Wu Ming al completo comunica la notizia che annuncia l'imminente uscita del nuovo romanzo collettivo Manituana.


Ma prima dell'uscita del libro il breve messaggio ci invita a visitare il sito dedicato al libro, o meglio il sito dedicato al mondo di Manituana. Una cambiale in bianco ai Wu Ming? Bé, da un certo punto di vista sì, anche se a quelli che considero fra i miei autori preferiti la cambiale, personalmente, non può essere in bianco. E una visita al bellissimo sito di Manituana conferma che i Wu Ming si sono ancora una volta calati in un mondo, in storie, in vite accomunate dal fatto di trovarsi dalla parte sbagliata della Storia. Insomma, altre asce da guerra da dissotterrare.


E il libro?


"I Signori della Confederazione... saranno sempre consiglieri del popolo. La loro pelle sarà spessa sette spanne, ovvero saranno impenetrabili alla collera, all'agire offensivo e alle reprimende. I loro cuori saranno pieni di pace e buona volontà, e le loro menti protese verso il bene delle genti della Confederazione. Con infinita pazienza compiranno il loro dovere e la loro fermezza sarà temperata dall'affetto verso il popolo. Né l'ira né il furore troveranno alloggio nelle loro menti e le loro parole e azioni saranno dettate da calma deliberazione."
(24esimo Articolo della Costituzione Irochese, o Grande Legge di Pace, agosto 1142 d.C.)



1775. In Massachusetts la tensione tra impero britannico e colonie del Nordamerica diventa guerra aperta.



Nella colonia di New York le Sei Nazioni - o "Confederazione della Grande Pace" - devono scegliere se combattere, e con chi.


Nella valle del fiume Mohawk vive un mondo meticcio. E' una grande comunità di indiani, irlandesi e scozzesi, fondata da Sir William Johnson, Sovrintendente agli Affari Indiani nominato da re Giorgio. I rumori della guerra arrivano da Boston e si fanno più vicini, antichi legami si rompono, la terra che Sir William chiamava "Irochirlanda" diviene teatro di odio e rancori.


Il capo di guerra Joseph Brant Thayendanega dovrà scegliere e partire, condurre il suo popolo lontano, spingersi oltre il mondo che ha sempre conosciuto.


Bé, io non sto nella pelle...

... e di seguito il trailer.


Bloggare con lentezza.

Ecco un nuovo post di aggiornamento su finoaquituttobene e il suo creatore, il sottoscritto...

Spero non diventi una rubrica questa, non vorrei tediarvi o prendermi troppo sul serio nel rapporto con i internauti che passano da qui, ma un pò mi sento in "dovere" di dire e parlare di ciò che succede nella realtà convenzionale e come questo influenzerà l'esperimento di finoaquituttobene.

Quindi passatemi ancora una volta il giochino linguistico del titolo di questo post, dopo bloggare stanca oggi è il tempo di bloggare con lentezza, un pò per desiderio e un pò per necessità avrò -- in realtà come già avviene da un pò di tempo -- un rapporto discontinuo con questo mio esperimento di comunicazione individuale, ma cercherò comunque di tenere vivo questo spazio che seppur io non ho ancora capito dove andrà a parare, mi sembra che una sua certa forma stia emergendo quasi autonomamente da me.

E la cosa mi piace. Perché? Forse perché se la natura dei blog come strumento di comunicazione individuale è una rappresentazione di sé, una vetrina, io preferisco -- e penso fra l'altro che ne risulterà un'immagine forse più sfuocata ma certo più verosimile -- che il mio sé si esprima e si manifesti più che dalle mie parole dirette come riflesso di ciò che qui viene pubblicato.

Quindi procediamo così.

giovedì, febbraio 15, 2007

La forza creativa del desiderio antiedipico -- di Bifo

Nell'Antiedipo Deleuze e Guattari spostano il piano della filosofia, della politica e della psicoanalisi dalla sfera della mancanza alla sfera del desiderio. Il campo della mancanza su cui è fiorita la filosofia dialettica, su cui la politica del Novecento ha costruito le sue (s)fortune, è il campo della dipendenza, non quellodell'autonomia. La mancanza è qualcosa di assolutamente reale, ma non possiamo fondare su questo concetto una teoria dell'agire autonomo. Perché la mancanza è un prodotto determinato dal regime dell'economia, della religione, della dominazione psichiatrica.Non possiamo fondare sulla mancanza i processi di soggettivazione erotica, politica, poetica. Dobbiamo fondarli piuttosto sul concetto di desiderio. Il desiderio comprende la mancanza come una sua modalitàdeterminata. La mancanza non comprende il desiderio, ne è compresa ma non può comprenderlo. Partiamo dunque dal desiderio, suggerisce l'Antiedipo.

Il desiderio non è volontà di acquisizione, ma creazione. "La logica del desiderio perde il suo oggetto fin dal primo passo: il primo passo della divisione platonica che ci induce a scegliere tra produzione ed acquisizione. Dal momento in cui mettiamo il desiderio dalla parte dell'acquisizione, ci facciamo del desiderio una concezione idealista (dialettica, nichilista) che lo determina in primo luogo come mancanza, mancanza di oggetto, mancanza dell'oggetto reale."(Deleuze-Guattari: L'Antiedipo, pag. 32). Non è tendenza ad acquisire un oggetto, ma suscitazione dell'oggetto come possibile, creazione della sua possibilità, creazione di un'energia sociale che può realizzarlo. L'inconscio non è un teatro ma un laboratorio, non è un luogo passivo in cui si assiste alla messa in scena di Edipo, ma un luogo nel quale si costruiscono macchine immaginarie, e anche macchine concrete, tecniche, comunicazionali. Con la parola macchina gli autoridell'Antiedipo intendono ogni concatenazione capace di modellare la realtà secondo la regola del desiderio: macchina è tutto ciò che rende possibile un taglia e cuci singolare dei frammenti semiotici, percettivi, sensibili, erotici, estetici. La realtà è il cut & mix operato da agenti semiotici, ovvero desideranti.

Il tema del desiderio enunciato nell'Antiedipo precorre lo sviluppo degli scritti successivi di Deleuze-Guattari. In Chaosmose, la loro ultima opera, la cui edizione italiana in questi giorni esce da Costa e Nolan, Guattari parla della relazione tra desiderio e ritmo: il ritmo è la modalità di proiezione del mondo da parte di unasingolarità. Soltanto il desiderio può concatenare un ritmo singolare ad un altro ritmo singolare. Quello che Guattari chiama ritornello è proprio questa singolarizzazione del ritmo, questa singolarità del respiro, dell'incedere, del parlare, del gesticolare, e soprattutto del sintonizzarsi col mondo. Il desiderio permette che un ritornello entri in sintonia con un altro ritornello. Un bambino cammina nel buio, ha paura, i suoi passi sono incerti. Canticchia una canzone e il ritmo gli permette di ritrovarsi nel mondo, di creare una rete di relazioni tra i suoi passi, il terreno su cui cammina, le case lontane, le stelle nel cielo. Così Guattari descrive un ritornello. L'etimo del desiderio ha qualcosa a che fare con le stelle (sidera, in latino). Nel punto di intersezione sintonica tra ritornelli si crea un mondo condiviso. Il mondo nel quale viviamo è il punto di incontro di innumerevoli proiezioni desideranti. Per curare il mondo (compito della politica, compito della psicoterapia) occorre dunque curare le proiezioni desideranti.


Parliamo di creazionismo perché il mondoappare qui come la proiezione di una attività creativa, che si interseca e si concatena con altre attività creative. Il pensiero desiderante ha poco a che fare con un certo discorso pubblicitario che vuole cancellare il lato oscuro della moltitudine. Non è trionfalismo della corporeità felice. Il desiderio è la forza produttiva dell'inconscio, l'inconscio in quanto forza produttiva. Ma dal processo di produzione inconscio emergono talora panorami spaventosi, incubi di terrore e di violenza. Il desiderio non è un bravo figliolo, un tranquillo signore di campagna, non è un amante tenero e generoso o una fanciulla in fiore dagli occhi scuri. E' tutto questo ma anche immaginazioni tormentate. Le architetture del desiderio si intrecciano talora con la pesantezza della depressione, e l'energia desiderante può alimentare fantasmi di aggressione. Il desiderio non è mancanza, ma può produrre mancanza nel suo dispiegarsi o nel suo rinsecchirsi.

La psicosfera contemporanea produce flussi di panico, flussi di depressione, ma prima di tutto produce malattie del desiderio. Contrazioni dell'organismo sensibile sottoposto all'invasione info-virale, contrazione del percepire il tempo vissuto, paura del futuro. Per capire il modo in cui la prima generazione videoelettronica si apre (o non si apre) al sociale, dobbiamo capire come si costruiscono le architetture del desiderio in un ambiente saturo di infostimoli, nel quale sembra scomparso il tempo per le carezze, il tempo per le parole lente, per i sussurri, per i tentennamenti.Vi è una malattia del desiderio fra le conseguenze dell'accelerazione ipercapitalista, e questa malattia produce a sua volta condizioni patogene, in un succedersi inarrestabile di psicopatie sociali. La politica del desiderio è anzitutto una forma di cura dell'ecologia mentale, creazione di concetti, di forme, di spazi, di gesti che restituiscano all'organismo collettivo la capacità di provare piacere di sé.


da Queer - inserto di Liberazione (11 febbraio 2007)

mercoledì, febbraio 07, 2007

Angela Davis e il prison industrial complex.

Dop l'articolo postato alcuni giorni fa dal titolo Going to jail e scritto da Francesca, un commento di lilli ha segnalato la seguente intervista ad Angela Davis che offre in poche parole la sintesi massima della summa del suo pensiero sul sistema carcerario statunitense, o meglio del prison industrial complex.


Grazie della segnalazione e buona lettura!


L'intervista è tratta da blackademics.org.


Intro:
Dr. Angela Davis is a radical activist, feminist and author, former political prisoner, and the Presidential Chair at the University of California, Santa Cruz. She is a founder of Critical Resistance, a grassroots prison abolition movement, but we’ll get to that later in the interview. This is History y’all. Angela Davis ran with the Black Panthers, in the 70s she became the third woman ever to appear on the FBI’s Ten Most Wanted Fugitives List. She’s been grinding on our behalf for quite some time and the grind continues, so let’s get to the interview.

Pierce Freelon: I know you have a book coming out about the prison industrial complex, and I feel like a lot of young black scholars aren’t really aware of the issues, so I was wondering if you could talk briefly about the prison industrial complex and why it’s so important that we as scholars embrace and challenge this issue.

Angela Davis: Well, of course, as Black people we are all aware of the centrality of imprisonment in the… community both now and historically. The prison industrial complex is a bit more than the collection of all of the jails and prisons that exist in this country. That concept, the concept of the prison industrial complex, attempts to capture the relationships among prisons and corporations and elected officials and governments. So we’re talking about relationships, we’re talking about the extent to which imprisonment serves as a source of corporate profit, much in the way that military production becomes a major sector of the US economy. There is a global dimension to the prison industrial complex, prisons are becoming central to the management of societies all over the world, and especially now in Africa and Asia and Latin America and in the countries of the south. The work that I’ve been doing, along with many other people over the last I don’t know 10-15 years, really focuses on the demand for the abolition of the prison. Prison abolition. So many people refer to me as being involved in prison reform and I say no, I’m not. I don’t want to reform the prison; I don’t want to make better prisons. Although I do want to make conditions better for the 2.2 million people in this country who are behind bars. And of course for the many people who are in prisons controlled by the US, particularly military prisons all around the world. I do want to make conditions better for them but I don’t want to build better institutions, I want us to think about the possibility of getting rid of the prison as the major institution of social control in this society.

PF: Okay, thank you. Umm, there’s a criticism of our generation as young, upcoming scholars that we’re not as active or as militant as yall were back in the 60s or 70s. I wanted to know if you agreed with that and either way, what can we do to achieve some the accomplishments that your generation of scholars and activists was able to achieve?

AD: Well, I think it’s a false claim. And I do think that there’s an enormous amount of concern among young people today. Especially young Black activists and scholars I think there is a great deal of activism. It’s not the same because we don’t live in the same time. And I try not to compare what is going on today to what we did 30 years ago. My message is always that each generation has to find it’s own way. And it may be a different way, it should be a different way. So my advice to young people today, young scholars, young black scholars and activists would be to think creatively. To try to imagine what these times might require. I like to use the example of the formation of the Black Panther party, since we’re celebrating now the 40th anniversary.

PF: 40th anniversary, yeah we talked about that on the site.

AD: So when Huey Newton and Bobby Seale, regardless of what one might think of the individuals, regardless of what one might think of Huey’s trajectory and the way he died, they did something amazing. They were willing to take a risk, they did something deemed crazy by virtually everyone. But it was umm, something-and I’m talking about the decision to patrol the police in the Black community with guns and law books and to witness police violence, police violations of people’s rights they did something that attracted young people from everywhere. I know, I was studying in Germany at the time and when I realized what the Black Panthers were doing, I decided I needed to come home. And this happened to so many people. Black Panther chapters were created all over the country organizations in Israel and Brazil and literally all over the world. And that was something they decided to do having no idea that it would have the repercussions that it did, but they decided to do something creative, to take a risk.

PF: My final question. We try to address a variety of issues on Blackadecmis. One of the issues that we found is difficult to address amongst our peers is the issue of sexuality (join the debate, here) and questions of homophobia in the African American community and things like that make it very difficult to put these issues, and really just to talk about them and start a dialogue about them without a kind of a visceral reaction, sometimes. So I was wondering if you could offer us some advice on how we can take a feminist structure to some of our dialogue and to how we can come about addressing and the importance of addressing these issues.

AD: Well, it is important. And t is important especially if there is a kind of visceral, negative response. We cannot assume that our Black communities are progressive on all issues. It’s important to remember that a lot of white people had a visceral reaction to the idea that Black people might be considered equal. So maybe that historical memory will cause people who are subject to the ideologies of homophobia to think about what freedom and equality actually mean because we’re talking about freedom for one group and then we have to talk about freedom for everyone. Otherwise, we’re replicating exactly what the Bush administration is doing, saying that freedom is important for Americans and you can sow state terrorism everywhere in the world, just to guarantee that Americans are free. So if you say in Black communities, that heterosexuals think that they should be free, but the LGBT community among Black people cannot have rights, then there’s something seriously wrong there. I would say that of course the church has played a major role and we need to figure out how to mount an offensive. Not adversarial against the church, but to encourage people to think differently. And there’s some good models. I would say that what has happened in Louisville Kentucky is a great model. There was a project a few years ago called the Fairness Campaign, that brought the LGBT community together with activists together with the Black church community and so you have ministers, Black ministers in Louisville who are staunch supporters of gay and lesbian rights. It can be done.

PF: Okay thankyou so much for your time. I really appreciate it.

AD: Okay, cool.

martedì, febbraio 06, 2007

Aqua Teen Hunger Force...

... questo il nome di un nuovo cartoon per "pubblico adulto" che si stava per aggiungere alla già lunga serie di cartoon con la medesima vocazione. Questa volta i protagonisti non sono i membri della simbolica "famiglia media americana" ma panini, bevande, gelati e suppellettili vari da fast-food.

Ma fino a qui niente di speciale.


La cosa interessante e al contempo -- per altri versi -- inquietante è ciò che è successo nei giorni scorsi, quando la campagna di marketing che lanciava il cartoon ha messo in pratica una campagna viral molto particolare, con conseguenze inimmaginabili e dai risvolti grotteschi: la campagna prevedeva la riproduzione di un personaggio del cartoon in 400 pannelli formati da Led luminosi, da diffondere e installare poi su ponti, fermate della metropolitana e bagni pubblici, in tutta la città di Boston.

Cosa è successo? In città, tra cittadini dai nervi scoperti e allarmi terrorismo vari, si è diffuso il panico, i pannelli sono stati infatti scambiati per ordigni esplosivi, creando immediatamente il caos cittadino: traffico bloccato, scene di panico, intervento degli artificieri... fino all'arresto dei creativi che avevano ideato la campagna!!

E' proprio vero che gli statunitensi hanno i nervi a fior di pelle e una paura fottuta di ciò che non è prevedibile, proprio come il terrorismo e le campagne di marketing...

Qui trovate il video che mostra la realizzazione dei pannelli in questione...

Calcio Marcio.

Tornano alla ribalta le gesta degli ultras, la loro carica di violenza e la loro brutalità. La morte dell'agente di Polizia a Catania venerdì sera ha per l'ennesima volta scoperchiato l'ipocrisia che schiaccia il mondo calcistico italyano. Quindi nel week end le trasmissioni vuote di immagini sportive si sono riempite dei soliti signori commentatori, dei soliti signori addetti ai lavori dalle cui bocche non usciva che un grido: "repressione!".

Tutti questi signori dicono di amare il calcio, forse farebbero meglio a precisare che loro amano il business che il calcio genera, anzi il business a cui è oramai ridotto lo sport calcio. Come tutti i business può succedere qualsiasi cosa ma non si deve interrompere la produzione di profitto, quindi le soluzioni consigliate per "rimettere a posto" il mondo ultras spingono a dire a dirigenti di importanti squadre che la gente deve "avere paura quando va allo stadio, deve avere paura degli agenti a cavallo fuori e temere gli agenti e gli strumenti a loro disposizione dentro allo stadio".

Il calcio in Italia è talmente marcio che ogni volta che questo marciume viene a galla non può che travolgere l'intero sistema calcistico, ogni volta -- dalle sciagurate azioni degli ultras agli scandali miliardari dei club -- emerge non solo la punta ma, per chi vuol vedere, l'intero iceberg del Calcio Marcio.

E allora vi propongo di leggere quello che segue, niente cronaca ma un'indicazione per chi volesse percepire le dimensioni e le forme di questo iceberg attraverso un percorso di lettura proposto da WuMing2.

Recensione comparata: Gomorra di Roberto Saviano +Indagine sul calcio di Oliviero Beha e Andrea Di Caro.


Questa non è una recensione, ma il resoconto di un'esperienza. Come uno che impara una mossa di tai chi e poi ti viene a raccontare cosa si prova, che vantaggi ne ha tratto, cosa la rende un esercizio utile, da insegnare a tutti.
La mossa è semplice, due gesti soltanto:
1) Leggi Gomorra, di Roberto Saviano
2) Leggi Indagine sul calcio, di Beha-Di Caro.
Uno di fila all'altro, senza interruzioni, come fossero due volumi di un'opera unitaria. Vedremo alla fine come si potrebbe intitolarla.

Di Gomorra si possono dire molte cose, per invogliare a una lettura che già da sola è illuminazione, nirvana, potere della parola. Saviano racconta la camorra, cioè la struttura imprenditoriale più diffusa e dinamica del Pianeta Terra.
Dentro ci sono storie, personaggi, aneddoti. Abbastanza per impegnare un regista serio nei prossimi dieci anni. Chi ha due lire da parte si assicuri i diritti, prima che parta l'asta. L'investimento è sicuro.
Il brutto è che di storie, personaggi, aneddoti te ne parla anche la De Filippi. Il termine è inflazionato, meglio soprassedere.
Lo si potrebbe definire un reportage, e lo è senz'altro, tanto notevole che in un paese decente Saviano sarebbe la firma di punta di una grande testata. Però anche qui si finisce per infilare un dibattito sfiancato, quello sul giornalismo d'inchiesta nostrano, se esista o no, se sia in ripresa o derelitto.
Terminato il libro, si ha la sensazione di aver scoperchiato qualcosa. Si resta storditi e inebriati, perché l'abisso è molto più profondo dell'immaginazione, delle notizie sparse, degli scoop raccolti qua e là . E' un'ipnosi da termitaio, una trance psichedelica, ma nemmeno in questo risiede il beneficio. La verità , per definizione, non fa miracoli. Delle due li sgonfia, vedi la Napoli bassoliniana e l'incazzatura (centro)sinistra contro questo autore guastafeste. Perché se il Polo vince 61 a 0 in Sicilia è merito della mafia, ma se l'Ulivo trionfa in Campania, con decine di comuni commissariati, è tutta gloria, tutta purezza, la regione ha cambiato faccia e guai a chi non ci crede. Paranoico, scettico, invidioso.
La differenza vera, nelle pagine di Gomorra, è la narrazione dei meccanismi.
Tu capisci come. Com'è che le grandi firme della moda foraggiano la produzione di falsi che sono veri quanto gli originali. Capisci chi, capisci perché, capisci dove. Who, why, where, eccetera. Le famose doppie vu del buon giornalista. Solo che non lo capisci con un articolo di giornale, un saggio di economia, un'indagine serrata. Nemmeno con un patchwork di affabulazione e inchiesta, come nelle migliori orazioni di Marco Paolini. No. Qui racconto, invenzione linguistica, dati, intercettazioni, dialoghi immaginari, cronache, personaggi e comparse, sociologia e romanzo, antropologia e finanza sono la stessa cosa. Sovrapposti, indistinguibili. Come l'imprenditore e il camorrista. Come le telefonate di Moggi, Fiorani e Vittorio Emanuele. Non c'è il curioso aneddoto che illustra la tesi e aggiunge colore. Aneddoto e tesi sono nomi diversi per la medesima infilata di parole. Leggete le pagine sul glorioso mitragliatore AK 47, capirete cosa intendo. Un mosaico simile a certi puzzle di ultima generazione: quelli che in ogni tessera c'è dentro un'immagine, solo che qui l'immagine che sta in ogni pezzo è la stessa che si compone alla fine, in ogni storia c'è tutto, come in un frattale, ogni incontro del protagonista rispecchia l'intero quadro. Protagonista, è bene sottolinearlo, o narratore, se volete, ma non autore. Ed è questa l'altra novità , l'operazione gonzo che nessuno aveva mai tentato, su un argomento cosìtosto. In un libro così, per deformazione da lettore, quando leggi "ho visto", "ho fatto", pensi sempre che l'autore-reporter abbia visto e fatto. Non qui. Ecco perché i librai non sanno dove cavolo metterlo, 'sto libro. E' narrativa, è giornalismo, è criminologia?
Non sei tu, Roberto, quello che fa la spola in Vespa tra i morti ammazzati, le discariche, le ville dell'aversano, le Case Celesti e il porto di Napoli? Una versione partenopea dei Lùnapop sui colli bolognesi? E se non sei tu, chi diavolo è? Hanno ragione i detrattori, ti sei inventato tutto, per invidia, un po' come Zeman con le sue farmacie, la finanza creatina e via rotolando.
Che cazzo hai scritto, Roberto?
L'ambiente è sano, basta fare pulizia...

Etimologia della parola Indagare...evitare che qualcuno riordini le tessere del mosaico. Come fa Indagine sul calcio, mettendo in fila gli scandali pallonari dal Mundial spagnolo alla vigilia di Italia-Ghana. Pezzi sparsi, che ciascuno di noi serbava da qualche parte, tra le pieghe del cervello, ma già solo vederli così, uno dietro l'altro, uno incatenato nell'altro, fa un altro effetto. Per ventiquattro anni, tornano sempre gli stessi nomi - Carraro su tutti. Cambiano solo i ruoli, ora da una parte, ora dall'altra della barricata, in un gioco di interessi che definire conflitto è roba da ritardati.
Qualcuno, dopo aver letto Gomorra, penserà che questo sia un libro più specifico, di nicchia, per il pubblico rotondolatrico, come lo chiama Beha. La camorra sì, senz'altro, è uno specchio dell'Italia e magari del Mondo, ma il calcio? Che me frega se il Verona ha vinto lo scudetto nell'unico campionato col sorteggio integrale degli arbitri? Lo so bene che è tutto un trucco, tant'è vero che a me il pallone non m'è mai piaciuto e via snobbando.
Errore. Errore madornale, rosso e blu.
In parte, un errore che commette anche Saviano, ma forse solo per motivi di spazio. Perché calcio e camorra si sono tirati la volata tante, troppe volte, suturati l'uno all'altro dal filo delle scommesse, il famigerato Totonero, e dai miliardi sporchi riciclati alla buona dentro alle società pallonare.
Errore. Perché se un tempo era la politica a servirsi del calcio - vedi Videla e i mondiali del '78 in Argentina - adesso "si scende in campo", con "l'attacco a tre punte" e lo Juve Club Montecitorio che propone il colpo di spugna se solo gli Azzurri vincono la coppa. Dal politichese al calcese, parlamento e stadio finiscono per coincidere, come l'imprenditore e il camorrista, o il gergo di potere e raccapriccio di qualsivoglia intercettazione.
Dunque si sovrappongono anche i due mosaici, quello frattale sulla camorra e quello più geometrico e rotondo, sul calcio e il nandrolone.
Tempo fa discutevamo, negli interstizi di una riunione wuminghiana, su quale sarà il prossimo crack italiano. La gastronomia, si diceva. Perché? Presto detto: A Davos, qualche mese fa, un economista ha dichiarato che ormai, dal punto di vista produttivo, l'Italia è solo calcio e buona cucina. Sputtanato il calcio, non ci rimane che un altro metanolo. Se un buffone che cucina l'aragosta col cioccolato si prende titoli da gran cuoco, qualcosa sotto dovrà pur esserci, no? E i grandi chef da Bruno Vespa, nel salotto catodico della politica, già ce li siamo sucati.
Panem et circenses. Togli uno, togli l'altro, sta' a vedere che qualcosa di interessante succede.
Sono rimasto folgorato nel leggere che Indagine sul calcio comincia dalla stessa dichiarazione. Ma il tizio di Davos s'è dimenticato un pezzo, nell'elencare con poco sforzo le sole imprese da esportazione del nostro Paese.
Esatto, avete capito.
Tra calcio e camorra, non ci sono nemmeno i morti, a far la differenza. Indagine sul calcio non ne trasuda come Gomorra, certo, ma ci sono eccome, e forse tra vent'anni gli effetti dell'EPO, del Cortex e del Neoton assottiglieranno ancora il divario.
Ecco perché due volumi, la stessa opera.
Due indagini, nel senso etimologico di "bestie selvagge spinte nel recinto".
Un solo recinto, un solo mosaico. Due gesti e una sola mossa.
Se volessimo fare un remake, potremmo chiamarla: das Kapital.

[da nandropausa n.10]

Una proposta di discussione -- da EscAtelier

Una proposta di discussione


Ci sono eventi che con la loro forza determinano lo spartiacque tra un prima e un dopo, segnano un punto di discontinuità. Quanto è successo martedì 30 gennaio a Roma è uno di questi eventi. Lo diciamo con sobrietà, perché la sbruffoneria è propria di chi è debole, non di chi ha vinto.

E noi martedì abbiamo vinto. Questo è il punto di partenza. Abbiamo vinto perché lo spazio di Esc ce lo siamo ripresi poche ore dopo che era stato sgomberato, e ce lo siamo ripresi con una mobilitazione – determinata, forte, con tutti pronti a tutto – che è partita dall'università ed ha raggiunto la sua interfaccia con la metropoli, Esc appunto. Quando diciamo spazio non intendiamo solo un luogo fisico da difendere, e non intendiamo affatto la perimetrazione di una zona rossa dell'identità antagonista o di una tribù politica.

Quando diciamo spazio vogliamo dire una macchina al contempo mobile e capace di sedimentazione organizzativa, fatta di forme di vita, espressione di conflitto e desiderio di esodo. Il corteo di martedì pomeriggio, convocato nel giro di poche ore, non era composto semplicemente dai militanti dei centri sociali, che pure c'erano in gran numero, perché è da subito corsa come un'evidenza generalizzata che l'attacco a Esc era un attacco a tutti; sotto i caschi e a sfondare i sigilli apposti dalla polizia c'era un pezzo di società, la cui determinazione nasceva dalla consapevolezza che la posta in palio non consisteva in un centro sociale in più o in meno, ma di uno spazio di vita, di relazioni e di resistenza. È per questo che abbiamo vinto, e lo abbiamo fatto da quando ci siamo concentrati davanti all'università, da quando hanno iniziato ad arrivare centinaia di studenti e non, pronti ad affrontare chi quello spazio aveva cercato di toglierglielo, determinati a riprenderselo, con ogni mezzo necessario. Per una volta il nodo della decisione non è stato sciolto, ma è stato tagliato. In molti, e non da un piccolo gruppo. Lì, davanti all'università e alla porta di Esc riaperta dalla forza di tanti corpi, abbiamo imparato cosa significa essere minoranze agenti senza essere minoritari.

Il conflitto nell'epoca della governance metropolitana.

Già dalle prime ore del mattino, mentre i blindati e i vertici della questura non avevano ancora abbandonato il luogo dove avevano terminato il loro agguato, è cominciato il rimpallo di responsabilità sull'avvenuto sgombero. Gli esponenti dell'amministrazione comunale – a partire
da coloro che fino al giorno prima avevano con noi ormai concluso una trattativa sullo spazio, vanificata dall'azione poliziesca – non esitavano a dirsi ignari dell'accaduto, attribuendo ogni responsabilità alla questura. Evidentemente non la raccontavano per intero, ma nello scaricabarile facevano trapelare anche un elemento di verità. Lo sgombero e ciò che ne è seguito hanno
disvelato uno scontro di poteri a più livelli: tra questura e amministrazione comunale, ma anche all'interno della stessa amministrazione comunale. Non è qui importante disegnare le geografie del potere: il problema politico è comprendere cosa esso significa, e come attraversarle conflittualmente. Questo è il problema di praticare conflitto e disegnare linee di fuga non fuori, ma
dentro e contro il laboratorio della governance metropolitana che Veltroni ha costruito nelle sue amministrazioni.

Chiariamo una cosa. Gli organi informativi mainstream sottolineano le differenze tra l'amministrazione Veltroni e quelle di Cofferati o Zanonato. Lo fanno però, come è puntualmente successo nel commentare la giornata di martedì, collocando questa differenza su una scala di valore. In altre parole, i progressisti attribuiscono un segno più all'amministrazione capitolina, laddove i reazionari appuntano un meno. Così posta, la questione non ci riguarda. Il problema non è se Veltroni sia meglio o peggio di Cofferati o Zanonato, ma piuttosto capirne la diversità. Occorre rovesciare il punto di vista. La governance non nasce dalle intenzioni di amministratori illuminati: essa è la risposta alla forza dei movimenti e dei conflitti, che hanno destrutturato le forme del governo verticale. La flessibilità dei meccanismi di governance non sono sinonimo di esercizio di un potere soft: al contrario, tale flessibilità è commisurata e permessa da forme di violenza in punti determinati e a geometria variabile. Esc è stato attaccato non perché luogo fuori dai rapporti con le istituzioni, ma in quanto spazio incompatibile dentro i dispositivi della metropoli. Dunque, la governance non è più buona o più cattiva delle classiche forme di governo. È semplicemente, ma anche sostanzialmente, differente. Ed all'altezza di questa differenza bisogna collocare l'azione politica che vuole sovvertirla.

Non ci è utile la triste alternativa tra ghettizzazione identitaria e subalternità di fatto ai partiti, in quanto agenti di traduzione delle istanze dei movimenti nelle forme di cattura delle istituzioni rappresentative. Il problema è esattamente far saltare questo nesso dialettico, aggredendo ed agendo fino in fondo la crisi della rappresentanza. Una prima approssimazione di ciò che questo significhi l'abbiamo vissuta martedì sera, quando Veltroni – dopo, e non prima che ci siamo riappropriati dello spazio, e dunque incalzato da ciò che era successo – ci ha telefonato direttamente per comunicarci l'assegnazione dello spazio, saltando i partiti e gli istituti della rappresentanza. Detta con una battuta: senza la mobilitazione "minacciosa" non ci avrebbero riconsegnato le chiavi, sarebbe probabilmente cominciata una nuova trattativa, dall'esito forse incerto, dai rapporti di forza sicuramente sfavorevoli. Esc ce lo siamo ripresi con la forza, perché è con la forza che si fanno saltare i meccanismi di regolazione e gestione del potere, ed è con la forza che si apre lo spazio dell'autorappresentazione. Ma il problema è anche trovare i punti di applicazione della forza, non solo le sue forme. E questi punti stanno interamente dentro, non più fuori: nel sistema di governance, infatti, il problema delle istituzioni non è escludere, ma includere differenzialmente, attraverso filtri di volta in volta mediati da attori e poteri diversi. Il problema non è più nei termini classici della repressione per allontanare, ma è immediatamente sulla qualità dell'inclusione e sulla resistenza alle forme della cattura. Alla luce di questo l'anti-veltronismo, nelle forme in cui si è fino ad ora espresso, è problematico non perché sbagliato, ma in quanto inefficace. La questione non è essere più o meno contro Veltroni, non è sulla radicalità verbale che si misura la qualità dell'antagonismo; al più, lì si misura la spartizione degli assessorati! Piuttosto, la qualità dell'antagonismo si qualifica nella produzione di "autonomia" dentro e contro l'impresa-metropoli.

Organizzarsi sulla frontiera tra autonomia e cattura.

Fin dal mattino la zona de La Sapienza è diventata l'ovvio punto di aggregazione della mobilitazione. Ovvio in quanto prodotto dalla lunga sedimentazione organizzativa in uno spazio produttivo continuamente aperto su ciò che lo eccede. Proprio in quello spazio di frontiera noi da anni ci collochiamo, provando ad articolare un processo costituente, di produzione di soggettività, di sperimentazione organizzativa. Non esiste, infatti, produzione di saperi al di fuori della lotta e
dell'espressione di parzialità. Il punto di applicazione della forza nella metropoli produttiva non è dove le forme di governance sono più deboli, ma là dove il precariato è più forte. Sulla frontiera tra università e metropoli, per esempio. Questa è un'altra lezione che martedì abbiamo imparato nel nostro "corso di autoformazione". Questo è un elemento utile che traiamo dal 30 gennaio sul piano della ridislocazione della forma centro sociale nella metropoli. Elemento che, assieme ad altro, vorremmo consegnare ad una discussione ampia che ecceda i nostri confini organizzativi.

I lessici della vittoria sono sempre spuntati e stentati, mentre quelli della sconfitta abbondano di lagnosa retorica: questa è un'altra zavorra con cui la sinistra tenta di appensantire i nostri corpi e i nostri cervelli che stanno tentando di praticare esodo, dalla sinistra innanzitutto.

Ora, la posta in palio si alza: ripensare in termini radicali uno spazio sociale nella metropoli produttiva significa sfuggire alla dicotomia tra impresa culturale e sconfinamento antagonista. Lo spazio sociale diventa antagonista proprio nella misura in cui riconosce nella cultura, nelle relazioni e nelle conoscenze il campo specifico del conflitto nel capitalismo cognitivo. È proprio qui, nella ricomposizione di teoria e pratica, di conoscenza e odio, di tattica nell'applicazione della forza e strategia nella scelta dei luoghi in cui organizzarsi, che un centro sociale si differenzia da qualsiasi Auditorium, dall'essere ridotto a luogo di produzione di eventi culturali disincarnati, o tribù politica chiusa nella fobica conservazione di un'identità astratta. La sfida consiste nello spiazzare questa falsa alternativa, in cui entrambi i termini sono funzionali all'offerta formativa della governance metropolitana. Saper andare oltre la vittoria, ora, significa abitare la frontiera che separa la capacità di innovazione radicale dal massimo del pericolo. Su questo margine ci vogliamo collocare, dopo che non noi in quanto spazio politico abbiamo vinto, ma un pezzo di società, o meglio un pezzo della nostra parte – conflittuale, radicale e non rappresentabile. A difendere Esc, a riprenderselo, c'erano gli occupanti, gli artisti che sviluppano lì dentro i loro progetti, gli studenti che lo hanno vissuto come fatto proprio, il movimento romano, dai centri sociali ai movimenti di lotta per la casa, che si è ricomposto di fronte a un'emergenza percepita come collettiva. La comune matrice dell'occupazione, infatti, segna la differenza dei centri sociali, ne rappresenta la cifra di incompatibile autonomia, ed è per questo che l'obiettivo delle strategie di governance sta nel rimuoverne le tracce, nell'esorcizzarne il pericolo. In quest'ottica leggiamo l'intenzione di riforma della delibera 26, come tentativo di neutralizzazione a mezzo di inclusione, di normalizzazione a mezzo di (esposizione al) mercato, come forma di controllo a mezzo di individualizzazione.

La giornata del 30 ci parla di un quadro mutato ma anche di un'affermazione di autonomia e di forza collettiva, di come quest'affermazione di autonomia abbia giocato un ruolo fondamentale nella definizione di un rapporto di forza a noi favorevole. Bisogna tenere insieme questi due elementi come bussola della sfida che ci si pone, il piano alto della scommessa: come si fa oggi autonomia precaria nella governance metropolitana?

La questione è aperta, ma non partiamo da zero. Partiamo dall'aver agito a pieno questo quadro invertendone il segno, partiamo da una vittoria.


Invitiamo tutti i centri sociali a partecipare ad una
discussione pubblica sui temi dell'autogestione, delibera 26 e produzione culturale mercoledi 7 febbraio h18 ESC

giovedì, febbraio 01, 2007

EscAtelier... niente sgomberi.

Negli ultimi giorni Roma ha visto l'esagitarsi delle forze del (dis)ordine, nella loro prediletta funzione di agenti della repressione. Niente di nuovo, ma è interessante citare l'episodio ed anche positivo visto l'esito della vicenda: Esc, atelier occupato nel quartiere di San Lorenzo, è stato sgomberato (o meglio sigillato dopo che la polizia vi è penetrata) l'altra mattina da un centinaio di agenti in assetto antisommossa accompagnati dai più alti dirigenti della Digos romana.

Anche questo potrebbe suscitare un "niente di strano!" se non fosse che gli occupanti non stessero per chiudere positivamente una trattativa sul fabbricato attraverso la mediazione del Comune di Roma e del sindaco Veltroni.
La reazione comunque giunge rapida, nel pomeriggio un migliaio di manifestanti prima forma un sit-in per poi andare ad riappropiarsi dello stabile e riaprire Esc. Il tutto dopo che il sindaco in fretta e furia ha chiuso la trattativa ed ha dichiarato di essere all'oscuro di tutta l'operazione poliziesca a danno di Esc.

Un lieto fine inaspettato, un conflitto di poteri che invece di indebolire questa fervida e fertile realtà che è stata l'esperienza di Esc in questi anni ha spostato i rapporti di forza in favore degli occupanti. E noi possiamo felicitarcene.


A proposito segnalo il link al sito dell'Esc,


http://www.escatelier.net/