martedì, febbraio 06, 2007

Calcio Marcio.

Tornano alla ribalta le gesta degli ultras, la loro carica di violenza e la loro brutalità. La morte dell'agente di Polizia a Catania venerdì sera ha per l'ennesima volta scoperchiato l'ipocrisia che schiaccia il mondo calcistico italyano. Quindi nel week end le trasmissioni vuote di immagini sportive si sono riempite dei soliti signori commentatori, dei soliti signori addetti ai lavori dalle cui bocche non usciva che un grido: "repressione!".

Tutti questi signori dicono di amare il calcio, forse farebbero meglio a precisare che loro amano il business che il calcio genera, anzi il business a cui è oramai ridotto lo sport calcio. Come tutti i business può succedere qualsiasi cosa ma non si deve interrompere la produzione di profitto, quindi le soluzioni consigliate per "rimettere a posto" il mondo ultras spingono a dire a dirigenti di importanti squadre che la gente deve "avere paura quando va allo stadio, deve avere paura degli agenti a cavallo fuori e temere gli agenti e gli strumenti a loro disposizione dentro allo stadio".

Il calcio in Italia è talmente marcio che ogni volta che questo marciume viene a galla non può che travolgere l'intero sistema calcistico, ogni volta -- dalle sciagurate azioni degli ultras agli scandali miliardari dei club -- emerge non solo la punta ma, per chi vuol vedere, l'intero iceberg del Calcio Marcio.

E allora vi propongo di leggere quello che segue, niente cronaca ma un'indicazione per chi volesse percepire le dimensioni e le forme di questo iceberg attraverso un percorso di lettura proposto da WuMing2.

Recensione comparata: Gomorra di Roberto Saviano +Indagine sul calcio di Oliviero Beha e Andrea Di Caro.


Questa non è una recensione, ma il resoconto di un'esperienza. Come uno che impara una mossa di tai chi e poi ti viene a raccontare cosa si prova, che vantaggi ne ha tratto, cosa la rende un esercizio utile, da insegnare a tutti.
La mossa è semplice, due gesti soltanto:
1) Leggi Gomorra, di Roberto Saviano
2) Leggi Indagine sul calcio, di Beha-Di Caro.
Uno di fila all'altro, senza interruzioni, come fossero due volumi di un'opera unitaria. Vedremo alla fine come si potrebbe intitolarla.

Di Gomorra si possono dire molte cose, per invogliare a una lettura che già da sola è illuminazione, nirvana, potere della parola. Saviano racconta la camorra, cioè la struttura imprenditoriale più diffusa e dinamica del Pianeta Terra.
Dentro ci sono storie, personaggi, aneddoti. Abbastanza per impegnare un regista serio nei prossimi dieci anni. Chi ha due lire da parte si assicuri i diritti, prima che parta l'asta. L'investimento è sicuro.
Il brutto è che di storie, personaggi, aneddoti te ne parla anche la De Filippi. Il termine è inflazionato, meglio soprassedere.
Lo si potrebbe definire un reportage, e lo è senz'altro, tanto notevole che in un paese decente Saviano sarebbe la firma di punta di una grande testata. Però anche qui si finisce per infilare un dibattito sfiancato, quello sul giornalismo d'inchiesta nostrano, se esista o no, se sia in ripresa o derelitto.
Terminato il libro, si ha la sensazione di aver scoperchiato qualcosa. Si resta storditi e inebriati, perché l'abisso è molto più profondo dell'immaginazione, delle notizie sparse, degli scoop raccolti qua e là . E' un'ipnosi da termitaio, una trance psichedelica, ma nemmeno in questo risiede il beneficio. La verità , per definizione, non fa miracoli. Delle due li sgonfia, vedi la Napoli bassoliniana e l'incazzatura (centro)sinistra contro questo autore guastafeste. Perché se il Polo vince 61 a 0 in Sicilia è merito della mafia, ma se l'Ulivo trionfa in Campania, con decine di comuni commissariati, è tutta gloria, tutta purezza, la regione ha cambiato faccia e guai a chi non ci crede. Paranoico, scettico, invidioso.
La differenza vera, nelle pagine di Gomorra, è la narrazione dei meccanismi.
Tu capisci come. Com'è che le grandi firme della moda foraggiano la produzione di falsi che sono veri quanto gli originali. Capisci chi, capisci perché, capisci dove. Who, why, where, eccetera. Le famose doppie vu del buon giornalista. Solo che non lo capisci con un articolo di giornale, un saggio di economia, un'indagine serrata. Nemmeno con un patchwork di affabulazione e inchiesta, come nelle migliori orazioni di Marco Paolini. No. Qui racconto, invenzione linguistica, dati, intercettazioni, dialoghi immaginari, cronache, personaggi e comparse, sociologia e romanzo, antropologia e finanza sono la stessa cosa. Sovrapposti, indistinguibili. Come l'imprenditore e il camorrista. Come le telefonate di Moggi, Fiorani e Vittorio Emanuele. Non c'è il curioso aneddoto che illustra la tesi e aggiunge colore. Aneddoto e tesi sono nomi diversi per la medesima infilata di parole. Leggete le pagine sul glorioso mitragliatore AK 47, capirete cosa intendo. Un mosaico simile a certi puzzle di ultima generazione: quelli che in ogni tessera c'è dentro un'immagine, solo che qui l'immagine che sta in ogni pezzo è la stessa che si compone alla fine, in ogni storia c'è tutto, come in un frattale, ogni incontro del protagonista rispecchia l'intero quadro. Protagonista, è bene sottolinearlo, o narratore, se volete, ma non autore. Ed è questa l'altra novità , l'operazione gonzo che nessuno aveva mai tentato, su un argomento cosìtosto. In un libro così, per deformazione da lettore, quando leggi "ho visto", "ho fatto", pensi sempre che l'autore-reporter abbia visto e fatto. Non qui. Ecco perché i librai non sanno dove cavolo metterlo, 'sto libro. E' narrativa, è giornalismo, è criminologia?
Non sei tu, Roberto, quello che fa la spola in Vespa tra i morti ammazzati, le discariche, le ville dell'aversano, le Case Celesti e il porto di Napoli? Una versione partenopea dei Lùnapop sui colli bolognesi? E se non sei tu, chi diavolo è? Hanno ragione i detrattori, ti sei inventato tutto, per invidia, un po' come Zeman con le sue farmacie, la finanza creatina e via rotolando.
Che cazzo hai scritto, Roberto?
L'ambiente è sano, basta fare pulizia...

Etimologia della parola Indagare...evitare che qualcuno riordini le tessere del mosaico. Come fa Indagine sul calcio, mettendo in fila gli scandali pallonari dal Mundial spagnolo alla vigilia di Italia-Ghana. Pezzi sparsi, che ciascuno di noi serbava da qualche parte, tra le pieghe del cervello, ma già solo vederli così, uno dietro l'altro, uno incatenato nell'altro, fa un altro effetto. Per ventiquattro anni, tornano sempre gli stessi nomi - Carraro su tutti. Cambiano solo i ruoli, ora da una parte, ora dall'altra della barricata, in un gioco di interessi che definire conflitto è roba da ritardati.
Qualcuno, dopo aver letto Gomorra, penserà che questo sia un libro più specifico, di nicchia, per il pubblico rotondolatrico, come lo chiama Beha. La camorra sì, senz'altro, è uno specchio dell'Italia e magari del Mondo, ma il calcio? Che me frega se il Verona ha vinto lo scudetto nell'unico campionato col sorteggio integrale degli arbitri? Lo so bene che è tutto un trucco, tant'è vero che a me il pallone non m'è mai piaciuto e via snobbando.
Errore. Errore madornale, rosso e blu.
In parte, un errore che commette anche Saviano, ma forse solo per motivi di spazio. Perché calcio e camorra si sono tirati la volata tante, troppe volte, suturati l'uno all'altro dal filo delle scommesse, il famigerato Totonero, e dai miliardi sporchi riciclati alla buona dentro alle società pallonare.
Errore. Perché se un tempo era la politica a servirsi del calcio - vedi Videla e i mondiali del '78 in Argentina - adesso "si scende in campo", con "l'attacco a tre punte" e lo Juve Club Montecitorio che propone il colpo di spugna se solo gli Azzurri vincono la coppa. Dal politichese al calcese, parlamento e stadio finiscono per coincidere, come l'imprenditore e il camorrista, o il gergo di potere e raccapriccio di qualsivoglia intercettazione.
Dunque si sovrappongono anche i due mosaici, quello frattale sulla camorra e quello più geometrico e rotondo, sul calcio e il nandrolone.
Tempo fa discutevamo, negli interstizi di una riunione wuminghiana, su quale sarà il prossimo crack italiano. La gastronomia, si diceva. Perché? Presto detto: A Davos, qualche mese fa, un economista ha dichiarato che ormai, dal punto di vista produttivo, l'Italia è solo calcio e buona cucina. Sputtanato il calcio, non ci rimane che un altro metanolo. Se un buffone che cucina l'aragosta col cioccolato si prende titoli da gran cuoco, qualcosa sotto dovrà pur esserci, no? E i grandi chef da Bruno Vespa, nel salotto catodico della politica, già ce li siamo sucati.
Panem et circenses. Togli uno, togli l'altro, sta' a vedere che qualcosa di interessante succede.
Sono rimasto folgorato nel leggere che Indagine sul calcio comincia dalla stessa dichiarazione. Ma il tizio di Davos s'è dimenticato un pezzo, nell'elencare con poco sforzo le sole imprese da esportazione del nostro Paese.
Esatto, avete capito.
Tra calcio e camorra, non ci sono nemmeno i morti, a far la differenza. Indagine sul calcio non ne trasuda come Gomorra, certo, ma ci sono eccome, e forse tra vent'anni gli effetti dell'EPO, del Cortex e del Neoton assottiglieranno ancora il divario.
Ecco perché due volumi, la stessa opera.
Due indagini, nel senso etimologico di "bestie selvagge spinte nel recinto".
Un solo recinto, un solo mosaico. Due gesti e una sola mossa.
Se volessimo fare un remake, potremmo chiamarla: das Kapital.

[da nandropausa n.10]

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