mercoledì, marzo 07, 2007

La Casa dei Giovani e la rivolta di Copenhagen

di Nikolaj Heltoft



Demolire la storia


Il palazzo del 1897 al centro della rivolta di Copenhagen si chiamava originariamente chiamato Folkets Hus (Casa del Popolo) e venne eretto dal movimento operaio internazionale. Fu lì che nel 1910 la Seconda Internazionale e Clara Zetkin proclamarono l'8 marzo la giornata internazionale di lotta delle donne. Anche Vladimir Lenin e Rosa Luxemburg tennero conferenze nella Casa e la grande manifestazione del 1918 contro la disoccupazione che giunse a occupare la borsa danese partì proprio da lì. Dopo la seconda guerra mondiale, la Casa fu usata per ospitare profughi tedeschi, ma a mano a mano che il tessuto socialista mutava, venne sempre più lasciata a se stessa fino a essere definitivamente abbandonata negli anni '60. Rimase chiusa fino a che l'ondata punk non portò un gruppo di giovani squatter del quartiere a occuparla all'interno della campagna per ottenere un centro sociale giovanile autogestito a Copenhagen. Nel 1982, l'allora sindaco di Copenhagen Egon Weidekamp destinò la casa a uso giovanile e l'edificio venne ribattezzato Ungdomshuset (Casa dei Giovani): "Loro si prendono la casa, e noi otteniamo un po' di pace," dichiarò il sindaco prima di consegnare le chiavi. Queste parole avrebbero assunto il loro vero significato 25 anni più tardi.

Per più di due decenni, Ungdomshuset ha svolto la funzione di tempio dell'underground danese e di rifugio per tutti quei ragazzi che non si sentivano accettati altrove. Lenin e Luxemburg lasciarono presto il posto al punk rock e a visioni politiche libertarie che contestavano la minaccia nucleare e rifiutavano la vecchia sinistra in toto. Ungdomshuset era comunque soprattutto giovane. Generazioni di giovanissimi, compreso il sottoscritto hanno fatto le loro prime esperienze politiche, imparato l'etica del "do it yourself", oppure a suonare la batteria, negli spazi della Ungdomshuset.

La lista di icone pop che hanno fatto concerti alla Casa dei Giovani è lunga. Björk e Nick Cave ci hanno suonato prima ancora che nessuno conoscesse chi fossero. E nel 1991 un gruppo teenage punk americano chiamato Green Day suonò nella Casa prima di schizzare nell'orbita del successo mondiale. Ma la Casa rimaneva una spina del fianco di molti politici locali di destra; i giovani rimanevano fuori controllo e molte azioni e manifestazioni politiche partivano dalla Ungdomshuset.
Per anni le grida stridule dei conservatori hanno chiesto lo sgombero della Casa, ma dato che il municipio di Copenhagen è ininterrottamente socialdemocratico da 106 anni, ci voleva un socialdemocratico per riuscire a raggiungere l'obiettivo.


"Il prezzo è basso, ma ci sbarazziamo di un problema"


Nel 1999 i socialdemocratici decisero di votare assieme alla destra e di mettere la Casa in vendita. La ragione ufficiale per la vendita è cambiata in continuazione. L'edificio fu messo in vendita a un prezzo notevolmente basso. Come un assessore commentò: "Il prezzo che chiediamo è basso, ma ci stiamo sbarazzando di un problema."

Pochi però erano disposti all'acquisto, e l'offerta di una setta cristiana fondamentalista chiamata Faderhuset (Casa del Padre) fu declinata perché la maggioranza in municipio la considerava "un
acquirente poco serio". D'un tratto però spuntò l'offerta di una società per azioni fino allora ignota chiamata Human A/S. L'amminstratrice, un avvocato di nome Inger Loft, affermò che voleva
aiutare i giovani della città. L'offerta della misteriosa società venne accettata e i giovani della Casa vennero svenduti contro la loro volontà. Presto si scoprì che la donna aveva avuto una posizione amministrativa in municipio fino a poco tempo prima. e si inizio a parlare di manovra socialdemocratica sotto mentite spoglie. Dopo un anno di silenzio, l'avvocata decise di vendere le azioni della sua società proprio alla setta Faderhuset guidata dalla pastoressa Ruth Evensen. Un giorno prima della vendita, il mistero s'infittì ulteriormente, quando si seppe che un prestito, con la Casa data in garanzia, era stato concesso alla setta dalla "Sarah Lee Jones Corporation", finanziaria con sede a Panama. Gli investitori della Sarah Lee Jones sono rimasti ignoti, malgrado le numerose inchieste giornalistiche. Quindi la casa è finita nella mani della setta fondamentalista che era stata giudicata inaffidabile. Perché un giro finanziario così elaborato per cedere la Casa dei Giovani alla Casa del Padre? Forse non lo sapremo mai.

La setta però aveva piani molto chiari. Nella sua concezione di risveglio cristiano, il peccato deve essere combattuto stando sempre all'offensiva. La pastoressa disse che Dio le era comparso in visione dicendole di comprare Ungdomshuset e di sbarazzarsi dei giovani, per poter combattere "i musulmani che stanno si impossessando di Copenhagen" e scendere in campo contro l'omosessualità. Anni di proteste, cause, processi, un cambio di amministrazione, imprenditori culturali e una fondazione di avvocati a sostegno della Casa dei Giovani non sono riusciti a impedire lo sgombero effettuato giovedì mattina in stile Rambo da forze speciali del governo. Il comune aveva permesso che uno dei centri più vividi di attività culturale della capitale cadesse nelle mani di una risma di crociati e non si degnava neanche di dare ai ragazzi un'altra casa, come il comune aveva originariamente promesso. La sindaca si limitò a offrire ai sostenitori della Ungdomshuse di comprare dal comune una sistemazione alternativa. Prezzo: 1,9 milioni di euro. A questo punto la scena era pronta per le decine di ore di scontri e barricate dello scorso weekend. L'intensità, la diffusione e, in certi casi, l'irrazionalità della ribellione urbana che ne è risultata ha sorpreso anche gli attivisti che difendono la Casa.


"Non ti preoccupare; oggi non vanno in cerca di arabi"


Ciò che è accaduto giovedì e venerdì notte va ben oltre il classico scontro fra forze di polizia e attivisti politici. Come notato dal Manifesto, la lotta in difesa dell'Ungdomshuset ha assunto un significato ben più vasto di quello di occupanti relativamente isolati che lottano per difendere un centro sociale. La minaccia di sfratto di ampie sezioni della storica città libera di Cristiania entro l'anno ha certamente aumentato il livello di tensione e portato molti più giovani in strada pronti allo scontro con la polizia. La ribellione ha portato allo scoperto un livello di tensione e agitazione sociale fra i giovani di Copenhagen che va ben oltre la difesa degli spazi occupati. Camminando attraverso le strade di Nørrebro fitte di barricate in fiamme, o attorno a Christiania, non si poteva fare a meno di notare quanto fossero eterogenee le folle che si scontravano con la polizia. Giovedì notte, centinaia di ragazzi di origine araba si sono uniti agli scontri, aggiungendo elementi e rivendicazioni loro proprie. Anni di marginalizzazione e discriminazione hanno spinto anche questi ragazzi a riprendersi le strade. Ho sentito un ragazzo palestinese rivolgersi ai suoi amici con queste parole, prima di unirsi alla ribellione: "Non vi preoccupate, oggi non vanno in cerca di arabi; stanotte arrestano solo ragazzi bianchi." Questa osservazione assolutamente pregnante consente di inquadrare la contestazione politica e culturale in Danimarca oggi. A partire dalle elezioni del 2001 che l'hanno portata al potere, la destra al governo ha lanciato una "battaglia culturale". Si tratta di un ampio programma di controriforma che intende aggredire la presunta egemonia sessantottina su università e televisione culturale, nonché discriminare i musulmani considerati come un blocco omogeneo contro cui bisogna mobilitare "i nostri valori comuni". Si è trattato di un brusco spostamento dell'asse politico danese; non solo la Danimarca è diventata arcignamente atlantista, ma la destra ha introdotto il neoconservatorismo culturale all'interno del dibattito politico. Dalla crisi delle vignette su Maometto dell'anno scorso alla più recente e contestatissima "riforma" del welfare, fino ad arrivare a Christiania e Ungdomshuset, si è diffuso fra la gioventù alternativa danese il sentimento di essere di fronte a politiche autoritarie tese all'uniformità culturale. Il radicale rifiuto della politica e della cultura dello stato d'emergenza è riconoscibile oggi in tutta Europa: la giovane generazione europea ha manifestato con forza solidarietà all'Ungdomshuset e alla ribellione di Copenhagen da Venezia ad Amburgo, da Bologna a Istanbul, per arrivare a Oslo, New York, e perfino in Nuova Zelanda. Ieri migliaia di frequentatori dell'Ungdomshuset piangevano nelle strade di Nørrebro, mentre le ruspe guidate da uomini incappucciati sventravano e demolivano la Casa dei Giovani e del Popolo. Oggi pomeriggio bloccheranno il centro di Copenhagen con feste e concerti per chiedere un altro spazio autogestito. E sabato, tutti gli attivisti d'Europea sono invitati a unirsi all'enorme manifestazione pacifica che protesterà contro l'enorme arroganza del potere danese, simboleggiata dalla demolizione dell'Ungdomshuset e dalla spietata repressione che ha già colpito 600 persone.

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