venerdì, giugno 29, 2007

Voglie di censura per "Operazione:pretofilia"


Un nuovo divertente videogame è uscito su molleindustria... ed ha scatenato - come solo in Italia può succedere - una serie di polemiche che hanno già portato a interrogazioni parlamentari... di chi? Del bigotto Luca Volontè che, pur di difendere tonache e preti vari, non si è accorto che il video game denuncia a suo modo un fenomeno che non dovrebbe essere benvisto nè dal deputato nè dalla chiesa, cioè la pedofilia.

Quelli che seguono sono la presentazione di
Operazione: Pretofilia con i link per farsi una partita e il commento dal blog di molleindustria sull'ennesima ventata censoria...


"Ancora una volta il clero è al centro delle polemiche per gli abusi ai danni dei minori. Il Vaticano ha creato una task force per garantire l'impunità dei preti pederasti. Assumi il comando delle operazioni pretofile: consolida l'omertà, insabbia le indagini, contieni lo scandalo finchè l'attenzione mediatica non sarà calata.
Non lasciare che la giustizia secolare si intrometta negli affari della Chiesa!"


Gioca qui.


VOLONTE' vs MOLLEINDUSTRIA?

Apprendiamo ora che l'onorevole Volontè, capogruppo dell'UDC alla camera, si è mobilitato per l'oscuramento di questo sito in risposta alla pubblicazione del gioco "Operazione: Pretofilia".
Quanto invidiamo Luca Volontè! Lo invidiamo per l'enorme mole di tempo libero che ha da dedicare alla ricerca di elementi che confermino le sue manie di persecuzione.
Cercate in rete il suo nome (specificando il nome, altrimenti troverete solo il grande Gian Maria) e troverete un fiume di notizie che delineano la sua sinistra psicosi:

"VOLONTE': Fioroni riferisca in aula su prof religione discriminato."
"VOLONTE': mostra lesbica offende anche culto ebraico"
"VOLONTE', Mastella intervenga su lettere br dalle carceri"
"VOLONTE', da Mantovani esternazioni infamanti"
"VOLONTE’: Turco intervenga su pillola RU486".
"Bush a Roma, VOLONTE': "sconti comunisti indegni per un paese civile".

Luca Volontè: un uomo che riesce ad esprimersi solo in negativo, l'unico difensore di una moralità cattolica attaccata da ogni fronte. Una straordinaria fabbrica di indignazione. La sua creatività è tale da meritarsi una rubrica fissa sul sito del circolo gay Mario Mieli dall'appropriato titolo Cazzate a Volontè

Volontè si era già scagliato contro il mondo dei videogiochi dando il contributo più farneticante alla già assurda montatura sul videogioco Rule of Rose. Questo è ciò che dichiarò alla Camera:

"Mi riferisco a quei ragazzi che hanno picchiato il compagno di classe down, episodio, in qualche modo, collegato al commercio di alcuni videogame (..) Un caso analogo è accaduto a Ferrara: anche grazie ad un recente videogame che consiste nel picchiare i compagni di scuola, molti giovani si sono comportati in questo modo".

L'occhiuto e zelante democristiano non poteva certo farsi scappare l'ultimo nostro videogame satirico "Operazione: pretofilia". Un gioco dichiaratamente provocatorio e difficile da digerire proprio perchè tratto da eventi reali.
Il devoto Volontè, a poche ore dalla pubblicazione, si dà fare mobilitando il giornale Avvenire e la Polizia Postale.
Si auspica l'oscuramento del sito appellandosi alla legge 38/2006 dal titolo "Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet".
La legge, che comprende tutti i reati riguardanti l'abuso sui minori, contiene un articolo sulla cosiddetta pornografia virtuale:

"Art. 600-quater.1. (Pornografia virtuale). Le disposizioni di cui agli articoli 600-ter e 600-quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena e' diminuita di un terzo.
Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali".


(link al testo completo)

E' risaputo che i cristiani siano in generale molto predisposti alla sospensione dell'incredulità, ma mai avremmo pensato che dei minuscoli personaggi stilizzati potessero essere scambiati per reali. Ma se quei bambini virtuali, alti appena una manciata di pixel, fossero stati seviziati e divorati da perfidi alieni, l'onorevole Volontè si sarebbe scomodato in loro difesa? Non sarà forse il riferimento tragicamente reale, più che la qualità della rappresentazione, a dar tanto fastidio ai cattolici?

Attenderemo gli inutili provvedimenti dei censori, consapevoli che il gioco è ormai ovunque in rete, giocato e apprezzato da decine di migliaia di persone di tutto il mondo. Giocatori ed internauti che per caso, fra una pausa caffè ed un'intervallo fra le lezioni, potranno apprendere qualcosa di più sul nostro oscuro stato cattolico.

P.S. Tutto questo accade mentre Ecrans, il portale di cultura del quotidiano Liberation dedica lo spazio di homepage al gioco.

giovedì, giugno 28, 2007

New Network Theory


Forse è un pò tardi per segnalarvi questo convegno ad Amsterdam nel prossimo week end, ma anche se nessuno riuscirà ad andarci i temi discussi hanno fatto capolino più volte su finoaquituttobene e quindi merita una segnalazione.
Quella che segue è la breve presentazione del convegno.

The object of study has shifted from the virtual community and the space of flows to the smart mob. When the object of study changes, so may the distinctions that dominate, particularly the schism between place-based space and place-less space, both organised and given life by networks. We would like to exploit the potential of writing contemporary network theory that suits and reflects the changes to the objects of study that come to define our understandings of network culture – a post-Castellsian network theory, if you will, that takes technical media seriously.

It is time to look for elements that can make up a network theory outside of post-modern cultural studies (which marvelled at the place-less place) and ethnographic social sciences (which reminded us of the ground). What network culture studies needs is a ‘language of new media,’ perhaps even signage, to speak in terms of Lev Manovich; what it currently has is a science-centered ‘unified network theory,’ to paraphrase the language of Albert-László Barabási.

Whilst it may come as no surprise to critical Internet scholars, the notion that networks are not random but have underlying structures remains the key insight for network scientists. Instead of posing new questions, the work that follows from that insight often seeks to confirm that structure and its accompanying patterns, across more and more network-like objects. The question remains which specific contribution critical Internet scholars and practitioners can make to opening up network thought. Such is the purpose of the network theory conference. How must we rethink network culture with a renewed emphasis on technical media and social software?

da http://www.networkcultures.org/networktheory/

mercoledì, giugno 27, 2007

Cosa succede nelle loro arnie?


Negli ultimi mesi è andata diffondendosi la notizia secondo cui è in corso una massiccia moria di api. Essendo che il ruolo di questo insetto non è semplicemente quello di "lavorare" perché gli uomini possano disporre di miele ma permette l'impollinazione delle piante da frutta e verdura (soprattutto ciliege e zucchine) la notizia è rimbalzata sui media mainstrean con il risultato collaterale di favorire la confusione su ciò che stava succedendo, facendo proliferare le possibili spiegazioni della moria.

Ora, pur non avendo mai avuto con le api un rapporto individuale tranquillo ne ho sempre subito di molto il fascino - in particolare penso per la dimensione "sociale" della loro convivenza, come del resto vale per le formiche - e quindi di fronte alle notizie allarmanti e alle possibili spiegazioni avanzate mi sono preso la briga di fare una piccola ricerca in Rete, anche per vedere la deriva che stava prendendo la diffusione di questa notizia.

Innanzittutto va detto che questo ultimo allarme ha avuto origine in Svizzera - paese a grande vocazione per l'apicoltura - dove negli ultimi quattro periodi di svernamento sono state registrate anomale perdite di api. Questo aumento della mortalità non è limitato soltanto alla Svizzera, bensì riguarda i principali paesi europei.

Prima di proporvi i risultati della mia piccola ricerca su quelle che vengono accreditate come le cause di questo fenomeno, vorrei soffermarmi un attimo sulla varietà di spiegazioni che sono disponibili in Rete: la gamma delle spiegazione infatti è varia, così come sono varie le fonti che ripropongono la questione, con posizioni che vanno dalla certezza monocausale alla retorica del mistero.

Fra tutto il materiale disponibile la fonte che mi pare - con pochi dubbi - più affidabile è quella del Dipartimento Federale dell'Economia della Confederazione Svizzera, sia per l'origine istituzionale che per il materiale prodotto e divulgato sul sito (fra cui interessanti informazioni generali sui campi elettromagnetici e i relativi rischi per l'uomo e l'ambiente).

Quali sono le cause della perdita di api negli ultimi anni? è il titolo di un agile paper prodotto dal Centro di ricerche apicole (CH) che affronta la questione a partire dai seguenti presupposti:

"La questione sulle cause di questo problema è controversa e alla base di discussioni nella pratica. Vengono chiamati in causa diversi fattori: condizioni climatiche, trattamento contro il varroa, virus, nosemiasi, altre malattie, pesticidi, culture agricole, nutrimento, raccolto, eccetera. La domanda sorge spontanea: quale di queste ipotesi è la più attendibile? Esistono fatti concreti che permettano di giungere a conclusioni chiare sulle cause delle perdite?"

Inutile dire che invito alla lettura di questo paper (8 pagine...) chi fosse interessato ad approfondire la questione, io vorrei qui segnalare come dopo una rassegna delle possibili cause della moria, a proposito delle responsabilità dei campi elettromagnetici - la
causa più indicata fra i media a cerca di sensazionalismo - il paper riporta:

"Le api percepiscono le linee del campo magnetico terrestre (orientamento spazio-temporale) ed è quindi verosimile che siano sensibili anche ai campi elettromagnetici. La percezione delle linee del campo magnetico terrestre è possibile grazie a numerosi e minuscoli cristalli contenenti ferro, posizionati parallelamente sulla parte anteriore dell'addome delle api. Come nel caso degli esseri umani, il magnetismo potrebbe avere un influsso sulle api e questa ipotesi suscita numerose discussioni, tuttavia le conoscenze finora acquisite non sono sufficienti per valutarne l'attendibilità."

Sia chiaro che la mia intenzione non è minimizzare, in genere, i possibili effetti delle onde elettromagnetiche e indicare coloro che sollevano possibili correlazioni fra queste e la moria delle api come dei "visionari". Io per primo penso che la ricerca sulle interazioni fra gli organismi animali e le onde elettromagnetiche sia una priorità assoluta viste le sempre maggiori applicazioni tecnologiche che ricorrono ad esse, ma anche visti i primi, parziali, dati che a volte emergono sulla nocività dell'esposizione a queste onde. Piuttosto vorrei con questa riflessione sollecitare a valutare con intelligenza le complessità di una questione quale quella qui proposta, dove vengono valutate tante e diverse possibili cause e di cui si deve valutare le possibili convergenze fra diverse di queste.

Comunque, stiamo attenti alle api, che secondo quello che viene messo in bocca ad Eistein "se un giorno le api dovessero scomparire, all'uomo resterebbero soltanto quattro anni di vita".

Non è la prima volta, si spera sia l'ultima

Certo non è la prima volta, certo si spera che sia l'ultima. In particolare per Bologna dove il ricorso all'uso intimidatorio delle accuse giudiziarie (pesantissime) verso i movimenti sociali è stato negli ultimi anni una costante. Ricordo così a memoria degli universitari accusati di "associazione sovversiva" per l'organizzazione dell'autoriduzione in mensa, così come altri casi che poi non portarono - guarda te - proprio a un bel nulla, con tanto di dichiarazioni dei magistrati che invitavano i loro colleghi PM a non farsi prendere la mano nell'avanzare certe accuse, a maggior ragione con tale leggerezza.

Mazzetta ci informa sull'epilogo - sempre uguale - dell'ultima di queste vicende in una e-mail su neurogreen di cui pubblico qui sotto il contenuto.



Il collettivo Fuoriluogo di Bologna era stato accusato dalla Procura di
"associazione con finalità di terrorismo ed eversione" e "apologia di attentato terroristico" per un volantino che il tribunale del riesame ha definito "ironico, intermezzato da vignette e privo di espressioni di tono particolarmente radicale". Di conseguenza il tribunale ha annullato i decreti di perquisizione e altri provvedimenti presi dalla procura contro 8 aderenti al collettivo. Si tratta dell'ennesima smentita che la procura di Bologna riceve nei suoi ridicoli tentativi di accusare gente presa a caso di reati gravissimi. Una serie di provvedimenti infondati (lo hanno detto più volte la Cassazione ed il Riesame) che fanno pensare alla malafede e ad un uso "politico" dell'azione penale.

Ovviamente i fan della "legalità" in città non ci vedono nulla di male in
questo modo di procedere, finchè questo genere di provvedimenti colpisce gli avversari politici sembra che i super "garantisti" cittadini non se ne accorgano neppure. Grazie a questa disattenzione la Procura di Bologna ha ormai accusato di "eversione" e di attività connesse al "terrosimo" decine di persone assolutamente innocenti.

Fino a quando abuseranno della nostra pazienza?

martedì, giugno 26, 2007

Riformisti vò cercando

Per riprendere il filo di un discorso che su finoaquituttobene negli ultimi mesi è stato spinto con diversi contributi postati - compresa la mia riflessione sull'Europa e i movimenti sociali pubblicata da lo squaderno o il commento di ieri di Vercellone sul vertice di Bruxelles - riprendo e pubblico qui sotto la prima parte di un articolo di Giuseppe Bronzini intitolato Riformisti vò cercando, uscito in origine sulla newsletter MercurioCRS del Centro per la Riforma dello Stato: si tratta di una riflessione critica sull'immagine egemone nella "sinistra" delle trasformazioni del lavoro e del mercato del lavoro come discostamento da ciò che a proposito è sancito nella Costituzione del '48.


di Giuseppe Bronzini

Premessa: nostalgia e politica

“Secondo una vulgata molto diffusa a sinistra ed in particolare nelle sue componenti “ più di sinistra” gli anni 90 sarebbero stati, in Italia ma anche nel resto d’Europa, un lungo periodo di regressione connotato da ripetuti interventi di deregulation nel diritto del lavoro, non adeguatamente contrastati da un’opinione pubblica ancora ostaggio delle chimere liberiste e dell’ideologia della flessibilità. Questo ciclo oscuro di abbandono dei principi costituzionali della Carta del 48 e in particolare della sua “norma simbolo” che stabilisce come cemento e fondamento della Repubblica “ il lavoro” avrebbe trovato il suo apice nella “ legge Biagi” nella quale le linee precedenti di limatura dei diritti fondamentali dei dipendenti avrebbero trovato una completa sistemazione nella balkanizzazione delle tipologie contrattuali e nell’abbandono della centralità del lavoro subordinato di tipo tradizionale con i connessi effetti devastanti sia sul fronte della rappresentanza sindacale che nella “ tenuta” dei livelli consolidati di prestazioni e servizi offerti dallo Stato sociale. Solo nella lotta per la difesa dell’art. 18 dello Statuto del 1970 e, poi, con la caduta del Governo Berlusconi si sarebbero ripristinate le condizioni per reinvertire il processo, contrastare il fenomeno emergente della precarietà e tornare al modello “ costituzionale”.

“Certamente la mia è una ricostruzione molto semplificata e, forse, di comodo ma mi pare difficilmente contestabile che quando, a “ sinistra della sinistra”, si chiede una “ svolta nel lavoro”(1 ) in genere si ignorano ipotesi e tentativi emersi negli aborriti anni 90 ( ed anche durante gli anni del governo Berlusconi): il colpo di spugna dovrebbe così traghettarci di nuovo, come per incanto, al mondo “ com’era”, dominato dalla classe lavoratrice stabile, impiegata in aziende di medio-alta dimensione, con una professionalità definita ed etichettabile contrattualmente con precisione, saldamente ancorata alle organizzazioni “ confederali” emerse nel dopoguerra……

Se qualcuno tentasse una simile operazione “ nostalgica” per quanto riguarda il sistema politico(proponendo il ripristino della proporzionale nelle forme precedenti i referendum) verrebbe preso per visionario, non meno di chi tentasse di rilanciare il “ compromesso storico” nei modi originari, ma in materia di lavoro la rimozione di un quindicennio di elaborazione teorica e di sperimentazione sociale in nuovi conflitti e rivendicazioni dimostra un ben diverso appeal. Il tutto è miscelato da una sostanziale metodologia “ nazionalista” che ritiene che, nonostante il processo di integrazione economica e sociale dell’Europa sia progredito enormemente ( più lenta quella istituzionale, anche se non sul fronte dei diritti fondamentali per il quale è operante da tempo una federalizzazione comunitaria della materia), il nostro paese possa “ fare da solo” e, in piena autarchia, procedere a riscrivere le regole del gioco.

“L’Unione europea non è ,quindi, quasi mai vista come una opportunità e una risorsa , ma costantemente come un ostacolo per i virtuosi progetti nazionali di ritorno “ all’antico”.


Continua qui.

lunedì, giugno 25, 2007

COME VOLEVASI DIMOSTRARE

di Paolo Vernaglione - da neurogreen

L'esito negativo del Consiglio Europeo era previsto e prevedibile. Invece di una Costituzione l'Europa, che ormai ha molto poco dell'Unione, avrà un Trattato ultraflessibile, in pratica una serie di accordi tra Stati che sanciscono l'interesse nazionale.

Spazzata via ogni pur flebile volontà federalista, l'Europa dei governi, delle destre e del pragmatismo liberista di Sarkozy, Blair, Kaczinski, cancella due anni di interlocuzione comunitaria (la pausa di riflessione) e la mobilitazione che almeno dal 2000, con l'approvazione della Carta di Nizza, si era prodotta.
L'accordo impone in pratica ai 450 milioni di cittadine/i europei la signoria dei governi su un Trattato, che poteva essere l'alternativa politica all'Impero statunitense, alla guerra permanente e alla distruzione del diritto internazionale.

Il compromesso sul Trattato, che dovrebbe entrare in vigore nel 2009, dopo la Conferenza intergovernativa, è scritto nelle 150 pagine dell'accordo e prevede:

un maggior controllo dei parlamenti nazionali sull'Europarlamento (che potrà tuttavia decidere a maggioranza in materie in cui era prevista l'unanimità),

lo slittamento al 2017 della "doppia maggioranza" che aveva caratterizzato la "migliore" proposta del Trattato Costituzionale,

il ritorno alla "minoranza di blocco" di cui si avvaranno Gran Bretagna, Polonia, Repubblica Ceca, come Olanda e Francia, in funzione anti-Turchia,

persino la scomparsa dei "simboli" comunitari (la bandiera, l'inno, la menzione dell'euro come moneta dell'Unione).

E' stato eliminato il riferimento alla correttezza del libero mercato, mentre tutti gli opting out sostenuti da Blair sono stati accolti: niente primato del diritto comunitario su quello nazionale, niente politiche sociali, niente PESC (politica estera e di difesa) che diventa intergovernativa.
Ineviatabile il riferimento (polacco) alla "famiglia".

Rimangono i protocolli sulla sussidiarietà e i servizi pubblici, unici elementi che dovbrebbero garantire una cornice comunitaria ma in realtà saranno agitati in funzione statal-welfarista.
Come si vede è stata seppellita la volontà, espressa in questi anni da un'opinione pubblica che si è mobilitata contro guerra, liberismo e nazionalismi e per la generalizzazione dei diritti, di realizzare un'Europa politica, che avesse personalità giuridica e fosse orientata verso la differenziazione delle fonti energetiche, la ricerca e l'innovazione, la condivisione di saperi e conoscenze.

Un dato è certo: l'accordo di Bruxelles distrugge le spinte dei movimenti e delle sfera pubblica ad una costituzionalizzazione dal basso dell'Europa e ad un federalismo post-nazionale.
La mancata immissione della Carta di Nizza nell'eventuale Trattato costituisce un vulnus che non potrà essere riparato da alcun accordo contingente sui diritti, specie quelli di ultima generazione.
Il Trattato "semplificato" è persino meno del mini-Trattato proposto da Francia e Germania per superare l'empasse del NO al referendum del 2005 e dell' "Europa a due velocità".
Benchè infatti la Merkel abbia tentato un compromesso più avanzato niente ha potuto contro il muro innalzato dai Kaczinski e sostenuto dall' "alleanza atlantica" in Europa.

In questo quadro vale la pena valutare il peso e la portata che lo spirito nazionalista ha avuto, oltre che la svolta a destra dell'Europa negli ultimi due anni e considerare la ricaduta politica del NO referendario di Francia e Olanda, sostenuto dalle "sinistre radicali".
A questo esito i governi non sono pervenuti solo per la bocciatura del Trattato Costituzionale del 2005, tuttavia è indubbio che abbiano cavalcato agevolmente l'onda lunga del NO al referendum.
Quel NO è stato corteggiato e appoggiato, come si ricorderà, da un'opinione comune alle "sinistre europee radicali", alcuni sindacati e parte dei movimenti, che rivendicavano così l'antiliberismo dell'UE e il rifiuto di un' Europa delle elitès.

Risultato: abbiamo oggi una non-Europa delle elitès e degli Stati, un federalismo e politiche sociali sempre più ignorate, più liberismo selvaggio e servaggio alla NATO.
Su questo è bene che le sinistre europee di lotta e di governo riflettano.
Non ci si può coprire dietro un dito, affermando che a Bruxelles si è esaurito il potenziale del NO. Quel potenziale è stato uno dei componenti della miscela che ha portato all'accordo.
Non vale neanche la giustificazione del sostegno al NO con la configurazione liberista dell'Europa nella Terza Parte del Trattato del 2004. Bastava infatti, come parte dei movimenti sociali richiedevano, sostenerne lo stralcio, invece che gettar via il bambino con l'acqua sporca.
Oggi da parte dei movimenti e di un'opinione pubblica europea "avvertita" conviene rimettersi al lavoro per contrastare questo misero accordo e rilanciare un costituzionalismo multilivello che faccia dei diritti il perno su cui ruota una Costituzione europea.

E' però altrettanto urgente mettere grande distanza da posizioni, purtroppo prevalenti nelle sinistre più o meno radicali e di governo, secondo cui qualsiasi Trattato sarebbe liberista.
Non è vero, non è più così, se mai lo è stato, e comunque oggi la partita non si gioca tra due alternative costituzionali, ma tra un'Europa statalista, lavorista, populista e un'altra, plurale, federalista, post-nazionale.

venerdì, giugno 22, 2007

Anna Simone sul GayPride 2007

Il breve commento che segue di Anna Simone sul GayPride romano di sabato scorso è, a mio avviso, un ottimo contributo anche se breve perché mette a fuoco alcune novità importanti per i movimenti LGBTQ. Anzi, è un buon contributo oltre per la capacità di vedere un pò oltre le scontate analisi sul successo dell'iniziativa proprio perché breve e arriva al nocciolo della questione senza troppi giri di parole.


Bellissima Roma tra i colori, la musica, i volti e i travestimenti del
pride. Bellissima perchè quasi non sembrava lei, oppressa com'è dalla soffocante architettura imperiale e dall'andamento sciatto, indifferente. Anche il pride, però, non sembrava il solito "pride". E infatti non lo è stato. Non è stata solo una parata di piume e paiellettes mostrate per la pruderie dei benpensanti che agli angoli delle strade si divertono a vedere i carnevali, come uno spettacolo di cui rimuovere il senso ed il significato una volta tornati tra le protette pareti domestiche. In piazza c'erano almeno cinquecentomila persone a dire che l'ipocrisia non ci riguarda, a dire che non sappiamo che farcene di prodi, di bush e di ratzinger. C'erano vecchi, bambini felicissimi (i più belli da vedere) e signore, un pò scostanti e un pò felici dal clima liberatorio che circolava per le vie del corteo. Alcune prima rimanevano contrite e poi si lanciavano improvvisamente in danze liberatorie. E' difficile pensare che la politica possa anche riuscire ad assumere connotazioni legate alla gioia (quella vera delle relazioni, della felicità dello stare insieme e non quella prodotta dalle pasticche o dalle deviazioni dal "normale ordine del discorso" su cui sempre tornare per non destabilizzarsi), alla libertà di essere corpo vivo e alla necessità di assumersi tutte le responsabilità politiche del caso. In piazza c'era ciò che Foucault avrebbe chiamato un grande movimento di contestazione della norma e di contro-condotta, il neonato movimento LGBTQ. Dico così perchè finora mi era sembrato che fosse un movimento solo legato alle istanze politichesi (inseguire i partiti per avere diritti) e invece questa volta non è stato così.

Sabato il movimento LGBTQ, assieme al femminismo etero e agli etero laici en general si è costituito come una nuova forza politica che si era andata un pò disgregando in questi ultimi anni. La campagna per "sbattezzarsi" sembra che stia andando bene, tuttavia da piazza San Giovanni è emerso un nuovo dato buono ed interessante: da quasi tutti gli interventi è venuta fuori la geniale idea di reinviare, "strappate", le tessere elettorali. E' stato detto in modo molto chiaro: il movimento LGBTQ non chiede più niente a nessuno perchè è una soggettività politica autonoma che non gioca più al ribasso, esiste e non crede più nella rappresentanza incarnata dai partiti e dai sindacati. Bellissimo insomma, quasi non ci credevo! Ma bellissime, soprattutto, le relazioni che si sono create tra i compagni partecipanti e le persone della strada. Fantastici anche alcuni slogan come: Ratzinger perchè hai paura? Non sarà mica un caso di fuoco amico? e molto, molto altro...I benpensanti e le anime grigie diranno che in fondo i movimenti devono occuparsi di cose più serie e che devono scendere in piazza "solo" per altre ragioni. Probabilmente è vero, ma solo nella misura in cui non avranno capito che chi sabato era in quella piazza può anche frequentarne altre perchè non ha paura della sua libertà di essere a tutto tondo. Anzi, quello è il suo punto di partenza perchè senza le piccole cose (la libertà d'amare chi si vuole in primis) non sono neppure possibili le grandi cose. Il movimento all'incontrario lo vedo, invece, ancora duro a darsi. E infatti al pride pochissimi compagni dell'autonomia, solo il Forte Prenestino...Questa non è una buona cosa ma di cattive cose, in fondo, il mondo è pieno (diversamente il pride non ci sarebbe neppure stato). L'importante è non averne bisogno e saperle vedere fino in fondo.

Per il resto c'è sempre la risata che li/vi/ci
seppellirà...tutti, ovviamente.

giovedì, giugno 21, 2007

Cronache da Rostock

Il G8 di Rostock è stato dal punto di vista dei governi partecipanti un fallimento, non solo perché non vi è stata nessuna capacità di avanzare politiche condivise sui temi all'ordine del giorno, ma anche per l'incapacità stessa di offrire dei convenuti al tavolo dei "grandi" un'immagine che possa avere un certo appeal fra la popolazione - neanche mondiale - dei paesi facenti parte di questo prestigioso club.
Basti citare il tentativo di vendere un totale disaccordo come quello sulle politiche a difesa dell'ecosistema terrestre come un grande accordo, quando in realtà i tempi che vengono proposti per il raggiungimento degli obiettivi è assolutamente ridicolo, a maggior ragione da quando la questione ambientale e il global warming si sono affermate come "fatti reali" (e quindi con conseguenze reali) nella percezione comune. Si capisce allora il mismatching - inteso come divaricazione - fra le sensibilità delle società civili e i convenuti a Rostock.


I veri protagonisti di Rostock sono stati i movimenti che lì hanno preso corpo, le mobilitazioni che non hanno riempito solo le pagine di cronaca dei giornali, ma anche le teste di tanti attivisti che hanno partecipato o guardato a Rostock percependo una rottura, un passaggio anche rispetto alle più recenti mobilitazioni.


Alex alcuni frequentatori di finoaquituttobene già lo conoscono. E' fra l'altro un amico di cui apprezzo in particolare la visione radicale, iconoclastica e laica sulle più varie questioni, in particolare su movimenti ed Europa. Quindi vi invito a dare una letta a questo suo resoconto del viaggio in Germania in occasione del G8, per capire un pò anche le emozioni e il clima che si poteva respirare in quei giorni da quelle parti.
L'articolo è uscito sul sito dell'Agenzia X - già nominata in qualche post ma di cui vorrei scrivere una prresentazione un pò più articolata e minimamente degna di un'esperienza che a me risulta esaltante.


Per ora buona lettura.


E' stata settimana noglobal 100% intensa e frattalica come mai, con troppe esperienze, emozioni, prese di coscienza, discussioni e azioni collettive per essere dipanata in una sequenza narrabile. ci provo lo stesso prima che la memoria mi abbandoni. Sono atterrato a berlino il 30. mi ero vestito bene perché ero un po' in para dopo le minacce di sospendere schengen di stasi 2.0 schaeubler ministro dell'interno della merkel e inquisitore degli amici e compagni della sinistra blockg8 ad amburgo e berlino (molti partecipanti alla mayday. tutto liscio. recupero le chiavi dell'appartamento a Prenzlauer Berg fra Rosa Luxemburg e Kastanier. E' in un vecchio palazzo est nn ancora restaurato con un lungo balcone all'ultimo piano. E' bellissimo. Di fronte la Neue Brauerei: fanno vedere il film sulla vita di Joe Strummer! THE FUTURE IS UNWRITTEN è davvero imperdibile, toccante e rabbioso come Joe, ti mette addosso una voglia di ribellione inesauribile; mi fa anche ricordare di quando comprai il mio primo disco, Combat Rock, a 16 anni.
Prenzlauer Berg si sta gentrificando mentre Kreuzberg si sta radicalizzando. Sono stato lì in bici a fare il giro delle 3 cappelle noglobal: Bethanien, dove c'è il convergence center berlino e dove becco compagni bolognesi con cui andiamo insieme al Kopi, e Mehringhof dove ha sede la sinistra interventista berlinese, il circolo clash, il collettivo editoriale, il club cicloautonomo e il sindacato rivoluzionario turco hanno sede. Bethanien e Mehringhof sono state perquisite e i computer sequestrati nell'operazione repressiva di inizio maggio che mi ha spinto a venire a Berlino e Rostock. Il Kopi è in fermento perché è sotto minaccia di sgombero e distruzione. Sono pronti alla battaglia: l'hanno protetto di grate tratte dai carrelli della spesa. Uno striscione di Ungdomshuset, il centro di Copenhagen distrutto che ha spinto la gioventù della capitale alla ribellione urbana, dice "Thank Your for Your Help. We will Never Forget It". E anche: "se tirate giù la nostra casa, tireremo giù Berlino". I poster delle agitazioni del 12 e 16 giugno sono davvero bellissimi e chiamano a raccolta tutta l'autonomia berlinese. Lo spirito del posto è anarcopirata con rumori di saldature e decorazioni mutanti sulle alte pareti. Adesivi ritragggono un orso (simbolo di Berlino) incazzato con la stella pink pronto a lanciare la torre delle telecomunicazioni come fosse un giavellotto contro la città a mo' di Godzilla. Anche la Berlino di Zitty, il timeout locale, ha una pagina sul Kopi.
Tutta la stampa tedesca da Die Zeit in poi parla ossessivamente degli oppositori al G8, die G8-gegener Scopro. che la Taz, più o meno equivalente al manifesto perché sorto dal 68 tedesco, ha un figlio più giovane e più noglobal Junge Welt più spigliato e radicale, libero dalle geremiadi di tanta vecchia nuova sinistra.

Raccolgo stampa e volantini su tutto quanto noglobal mi attira: la pubblicazione degli anarchoblock dell'est europeo, il poster fantastico con i conigli pink del Queer Barrio al campo di Rederlich quello più vicino alla barriera, il volantino sulla green scare e mille altre cose ancora. Bethanien ha una sala con 3 bandiere: nera centrale, con quella pink e quella rossa perpendicolari a formare una T. La stella pink è il simbolo di Make Capitalism History, il cartello noglobal costruito per bloccare il G8. A Berlino scopro che ci sono caffè e ristoranti in cui si mangia facendo offerte senza prezzario definito.

C'è davvero un surplus di classe creativa che pur con il sussidio Harz IV (800 neuri al mese) anima una cultura slacker e multietnica ancora tollerante stile anni 90 che ormai non si vede quasi più nella altre capitali europee. Vado alla galleria autogestita foto-shop a vedere i ritratti che brioga ha fatto della vita all'ombra del muro israeliano che segrega in maniera definitiva i palestinesi della cisgiordania. Brioga mi invita a cena. Ha un appartamento con vista su Alexanderplatz. Dopo un risotto, vado al Bateau Ivre a bere qualcosa con Ollie di FelS e della mayday berlinese e Ben del collettivo che ha fatto il free press Turbulence e il libro Shut'em down sulle azioni di Gleneagles. I poster della mayday li trovi ancora un po' dappertutto. Hanno sfilato da Kreuzberg a Neukoelln. Mi raccontano della realizzazione dei costumi per il blocco pink euromayday alla manifestazione.

La mattina alle 7 del 2 giugno parto per Rostock con Brioga, la sua ragazza Katarina, e Mike fotografo che ha scattato immagini raggelanti della barriera di Heiligendamm, organizzatore e radio DJ da una vita. Scopro che è anche lui è stato exchange student in america (vale a dire è come me un uprooted permanente) e che condivide una passione smisurata per tutto ciò che è o alt.rock o technohouse (il tresor si è spostato a kreuzberg!), flyer (ha curato un catalogo in merito), parties illegali, e ripercorriamo insieme 15 anni di musica alternativa dai Mudhoney al grime. Il viaggio procede nel verdissimo e rurale Meck-Pomm, sono tutte macchine di manifestanti! Si vedono lungo la strada i primi drappelli di pulotti nelle uniformi diverse a seconda del Land di provenienza. Arriviamo alla stazione con 2 ore di anticipo. C'è Valery l'organizzatrice sindacale per l'europa di Justice 4 Janitors. Insieme facciamo il sottopassaggio ed ecco apparire l'oceano dei manifestanti di Rostock!! Tutto lo spettro cromatico della protesta radicale è lì. Bandiere pirata, bandiere antifa (rosse, verdi, azzurre, nere, catalane), bandiere anarchiche, la bandiera pink del clown army con il teschio argento e le spade incrociate, la bandiera della pink samba band. Poi le solite bandiere rosse più o meno terzomondiste o antimperialiste, ATTAC (pochi i die linke e IG metall), bandiere dei giovani verdi.

La testa del corteo (dopo le sculture di cartapesta grigie degli gli sfigati e assediati leader g8 e invece i grandi manichini colorati che rappresentano la moltitudine che gli si oppone) è un enorme mar nero che si estende fino al baltico: più di 5000 black bloc dalla Germania, dal Nordeuropa e da ogni paese dell'emisfero boreale. Dietro sta il camion di Make Capitalism History, con discorsi (un po' vuoti e retorici) in tutte le lingue. Poi lo striscione pink di EUROMAYDAY: let's make the g8 precarious, flexifight vs new world order! Dietro sfilano variopinte maschere e mantelli di supereroi contro la precarietà che brandiscono cartelli con fumetti che esprimono posizioni o critiche argute ("se subisci la precarietà, non ti dobbiamo spiegare cosa vuol dire capitalismo"). Distribuiscono kit become a superhero a tutta la manif che risponde con trasporto ed euforia. Un fratello di Yomango mi dà un mantellino verde irlanda con la stringa rosa shocking: anch'io supereroe per un giorno (penso a Jack Kirby e al Capitan America e agli Eterni disegnati da lui). Un fratello di Amburgo mi dà un cartello-balloon da brandire. La manif fila via liscia e gaia anche se un po' avara di cori e slogan. A Anti Anticapitalista è uno degli slogan più gettonati insieme a Inter(o Anti Nazional) Solidaritaet. Arriviamo al porto dove c'è la spianata con il palco di Move against g8 (dove suoneranno i Chumbawamba e Tom Morello ex rage+audislave con cappello IWW), i chioschi e le navi di Greenpeace e Medecins Sans Frontieres attraccate. Tutto sembra tranquillo, quando la pula con un fendente di celerini taglia la piazza in due. E' una provocazione. Vengono accerchiati dalla folla ostile. Iniziano a partire sassi e bottiglie. Poi ci si calma. Alziamo le mani e cominciamo a spingere i pulotti fuori dalla spianata del porto. Se ne vanno. Applausi e gioia.

Posso riprendere a parlare con Nikolaj e Michl di RadicalEurope copenghagen. Ci facciamo una birra e una salsiccia. Trovo anche i miei fratelli berlinesi Jan e Johannes, che si è ritrovato sotto inchiesta e la casa messa a soqquadro dalla polizia nell'operazione aimless (art 129a: "cospirazione di tipo terrorista volta a sovvertire il g8").
Continua qui

Dieci tesi sull'elettronica non domocratica #Parte 2°#

di Geert Lovink e Ned Rossiter

6) Nei confini dei network sono inscritti gli «elementi "non-democratici" della democrazia» (Balibar/Mezzadra). Questa affermazione è particolarmente utile quando pensiamo al "politico" dei network, essa rivela il fatto che i network non sono aperti, orizzontali e globali di default. E' questo l'errore di molti dei discorsi sui network. Non si danno politiche dei network se non ci sono confini dei network. Invece di spalmare a forza la democrazia sui network, sia attraverso software che attraverso azioni politiche, dovremmo investigarne la natura. Questo non significa che dobbiamo supportare apertamente "dittature benevolenti" o ruoli di totalitarismo illuminato. Di solito i network prosperano su un'informalità di piccola scala, specialmente nella prima fase di vita delle loro strutture sociali.

7) I confini dei network sono le spaziature della politica. Mentre i network sono sottoposti al processo trasversale delle trasformazioni di scala, i bordi dei network rivelano, a un tempo, limiti e possibilità.
Mentre in Network Organizzati 1 abbiamo enfatizzato quel che accade "dentro" un network, qui andremo a vedere cosa succede alla sua periferia. Nel corso del processo di sviluppo del kernel di un network si cristallizza molta energia. Dopo qualche mese o, per i più fortunati, qualche anno, c'è ancora un dentro del network, e solo macerie sul bordo. Questa è una sfida enorme per i network - come impegnare il margine fino al punto di considerarlo la condizione della trasformazione e del rinnovamento ?

8) Non esistono cittadini dei media. Trova e sostituisci cittadini con utenti. Anche gli utenti hanno diritti. L'utente non è una categoria non-storica, ma piuttosto è l'attore di un sistema specifico che non stabilisce parentele con le istituzioni della modernità e con il relativo discorso sui diritti. Ciò che occorre, allora, è una totale reingegnerizzazione dei diritti degli utenti all'interno della logica del network. Esattamente come i "cittadini giornalisti", i governi democratici liberali, i grandi media e le istituzioni globali sono infinitamente verbosi circa le loro credenziali democratiche, così i network organizzati sono ostinati nel mantenere una politica "non-democratica".
Una politica priva di rappresentanza — da quando i network rappresentano qualcosa ? — e, in luogo di essa, una politica di relazioni non rappresentazionali (N.d.t.: non relative alla rappresentanza).
Non-democratico non significa antidemocratico o elitario.
Ciò dimostra l'importanza strategica di sciogliere i nodi tra "democrazia" e "media".
Lasciateci ricordare che il cittadino giornalista è sempre imbragato a media organici allo stato-nazione. I network non sono nazioni. In tempi di abbondanza di canali, piattaforme e network non è più necessario invocare "l'accesso". La democratizzazione dei media è arrivata al capolinea. La gente è stanca di leggere la solita critica al NYT (New York Times) alla CNN e agli altri cortili platealmente prevenuti in senso neo-liberista e Occidentale. E' il momento di concentrare i nostri sforzi sulla politica del filtraggio. Che tipo di informazione intendiamo leggere e divulgare? Cosa succede quando ti accorgi che ti sto filtrando? Dobbiamo soltanto collegarci agli "amici"? E cosa fare di questa compulsione ossessiva a collezionare amici? Potrebbe andare meglio se sostituissimo "amici" con "compagni"? Cosa si potrebbe obiettare alla tendenza a costruire network sociali?
Non era questo ciò che sognavano molti mediattivisti ?

9) La governance richiede protocolli dissensuali. La governance dei network è la più chiaramente protesa verso la questione dei bordi dei network. Qui il controllo è il problema. La funzione dei confini è, a tutta prima, quella di regolare l'entrata, ma essi invitano le società segrete a infiltrarsi in qualsiasi modo. Il contesto all'interno del quale queste due dinamiche vanno lette è quello della battaglia tra regimi governamentali e desideri non-governamentali. Non siamo chiamati a decidere qui se occorre tagliare in due le nostre agende: noi siamo per l'ordine in tempi di caos e allo stesso tempo promuoviamo e sognamo un flusso di informazione libera. Questo ci conduce al tema correlato della sostenibilità. Se i confini dei network sono costituiti di elementi governamentali e non-governamentali – amministrazione vs. sabotaggio ispirato e desiderio di infiltrazione – allora possiamo anche affermare che i confini dei network rivelano la loro fragilità costitutiva. In che modo ciò può divenire un fattore di forza per il futuro dei network? Ci sono sempre sovrapposizioni tra identità e strutture sociali.

10) Progettate la vostra educazione. Nella congiuntura attuale troviamo ispirazione dalla proliferazione di network centrati sull'educazione, sull'iniziativa non allineata, sulla ricerca militante.
L'educazione, naturalmente, ha sempre riguardato la coltivazione della mente e del corpo per rifornire la richiesta di forza-lavoro da parte del capitale. I network organizzati devono giocare un ruolo cruciale nel rifiuto della sottomissione del lavoro e dell'esistenza al torpore mentale e all'esaurimento vitale richiesto dal capitalismo post-fordista. Ed è attraverso questi "edu-network" che vediamo alcune delle forme più ispirate di invenzione itituzionale.
Riteniamo che questo sia il punto su cui possiamo dirigere le energie che impegnano le pratiche di collaborazione creativa. Ciò di cui abbiamo bisogno è uno sforzo concettuale e una successiva "arte della traduzione" per far migrare i concetti critici da un contesto al successivo. E' il momento di reclamare una posizione di avanguardia e di non lasciare il prossimo sviluppo di questi strumenti tecno-sociali nelle mani delle corporation neoliberiste. E quanto diciamo riguardo i new media e l'Internet può essere riferito ad altri settori di educazione e ricerca. Entro la prossima decade metà della popolazione mondiale userà un telefono cellulare e due miliardi di persone useranno l'Internet. Come useremo questo potenziale?

Qui le prime cinque tesi

mercoledì, giugno 20, 2007

La madonna piange sperma

Succede che a Bologna lo sceriffo Cofferati ne abbia pensata un'altra: dopo la proibizione delle birrette per strada, la caccia alle streghe fra i centri sociali e gli anatemi sulla presenza nella sua città di Oreste Scalzone ha pronunciato ora un nuovo editto.

Di cosa si tratta? Tutto prende avvio da una mostra che si sarebbe dovuta tenere in un centro civico di un quartiere bolognese e intitolata
La madonna piange sperma, mostra dal titolo che certo non lascia indifferenti, che proprio per questo - dopo essere già stata presentata a Roma - ha avviato una serie di reazioni che hanno portato alla scontata presa di posizione del clero bolognese prima, del Comune di Bologna poi. Infatti questo ultimo prima ha tolto il patrocinio comunale all'iniziativa e ora chiede addirittura la chiusura del centro civico reo di aver pensato di ospitare questa collettiva d'artisti!

Insomma, neanche questa volta il Cofferati si è lasciato sfuggire l'occasione per riaffermare laidamente il suo ruolo di sceriffo.

Quello che segue è il pensiero di Bifo - pubblicato su rekombinant - a proposito della vicenda, inoltre vi invito a visitare il sito di questi artisti iconoclastici che spesso collaborano anche con Sexyshock (e da cui è tratta anche l'immagine che affianca il pezzo): CarniScelte.

Ricordate la sollevazione islamista contro le vignette danesi?
Un disegnatore impertinente aveva pubblicato dei fumetti in cui Maometto appariva in pose sconvenienti e folle di fanatici si erano riversati nelle strade dei paesi islamici minacciando sfracelli. L'opinione pubblica occidentale era insorta in difesa dei sacri valori della libertà di espressione. Era parso ovvio che la libertà di espressione non può accettare come propri limiti i tabu pruriginosi di qualche maggioranza religiosa. Ma le cose si evolvono.

All'inizio dell'estate 2007, Carni scelte, un gruppo di artisti bolognesi,
progetta una mostra che avrebbe dovuto aprire prossimamente nei locali di via Bolognetti, sede del centro civico di un quartiere bolognese che gode tradizionalmente del patrocinio comunale. Dato che si tratta di artisti degenerati il titolo della mostra è La madonna piange sperma. Apriti cielo. Quando la notizia trapela, in un crescendo di scandalizzate proteste, il patrocinio comunale viene ritirato, l'Assessore si profonde in scuse, e alla fine l'arcivescovado indice (udite udite) una Messa di riparazione contro la blasfemia. La comunità diocesana dei fedeli - dice la nota dell'Arcidiocesi - si raccoglie in preghiera di riparazione per gli oltraggi di cui è stata recentemente oggetto la Vergine Maria Madre di Dio". L'appuntamento è per oggi alle ore 18,30 presso il santuario della Madonna di San Luca. La messa sarà presieduta dall'arcivescovo, Carlo Caffarra.

"Sono invitati particolarmente i sacerdoti della città con le loro comunità parrocchiali e le famiglie." A questo punto il sindaco, un raffinato intellettuale che è riuscito a creare in città un simpatico clima di amichevolezza e di collaborazione ha detto che «La cultura è efficace quando è rispettosa e non trascende in volgarità come purtroppo è capitato in questo caso». Ricordiamocelo d'ora in avanti: la cultura è efficace (efficace) quando è rispettosa.

Mentre scrivo queste righe, in stato di evidente alterazione psichedelica, la Messa di riparazione si sta svolgendo, al Santuario della Madonna di San Luca. Il probo piissimo Pierferdinando Casini presenzia alla funzione. Le folle dei bolognesi non si assiepano ancora a chiedere il rogo per i blasfemi. In attesa che il loro spirito cristiano si risvegli, per il momento prendono il gelato, sniffano coca sui tavolini e bevono birra sotto i portici. Ma il sindaco Cofferati ha emanato in serata un editto. Via Bolognetti deve chiudere, il centro civico in cui si è concepita una simile blasfemia deve scomparire.

martedì, giugno 19, 2007

e / co / mà / fia

Ne parlai già incidentalmente in altri post, certo commentando e segnalando Gomorra. Le ecomafie sono infatti il relativamente nuovo, ma sempre più redditizio business di camorra, mafia e 'ndrangheta...
Vi posto di seguito un'intervista a Sandrone Dazieri - a cura di
Jedel Andreetto e pubblicata su carmillaonline - che ha appena pubblicato un piccolo racconto sulle ecomafie nella nuova collana "VerdeNero" delle Edizioni Ambiente, con una piccola presentazione anche dell'iniziativa editoriale.

Abusivismo edilizio, discariche ed escavazioni abusive, traffico di rifiuti, racket degli animali, trafugamento e sottrazione di beni culturali archeologici e storici: in una parola ecomafia. e|co|mà|fia che dal 1999 si trova tra “ecologo” e “ecometro” nel dizionario della lingua italiana grazie a “Legambiente”. che ha condensato in un unico termine un grave problema ambientale, economico e sociale dandogli visibilità. A distanza di otto anni da quella prima conquista viene varato un progetto particolare destinato a dare ancora più visibilità alle problematiche legate all’ecomafia.
La narrativa di genere in Italia ha avuto la capacità di prendere le distanze dal semplice divertissement, acquisendo la consapevolezza di essere forse l’unico fenomeno le
tterario in grado di dare la misura della realtà e di confrontarsi criticamente con il presente senza perdere mordente o annegare nella pedanteria. La commistione tra le trame serrate e avvincenti tipiche del noir, del giallo, del thriller ecc. e l’analisi della contemporaneità sono stati alla base del successo crescente di molti autori che hanno intrapreso questa strada.

“Edizioni Ambiente”, con un’intuizione felice, ha pensato di dare il via alla collana, tra fiction e reportage, “VerdeNero” affiancandola ai rapporti, agli studi e ai saggi sulle tematiche ambientali. Una collana in grado, visti i nomi coinvolti, di sensibilizzare e informare attraverso la narrativa un pubblico vasto ed eterogeneo sui crimini ambientali che ogni giorno si consumano nel Paese. “VerdeNero” prevede dodici romanzi brevi che parleranno di casi tratti dai precedenti rapporti ecomafia, dal commercio illegale di animali e dai traffici illeciti di rifiuti raccontati da alcune delle penne più note del panorama narrativo italiano che devolveranno il 2% delle proprie royalties alla campagna “SalvaItalia”.

A dare il la al progetto Bestie di Sandrone Dazieri, un romanzo sul racket degli animali che è stato presentato alla Fiera del Libro di Torino. A seguire (fino a ottobre 2007) Carlo Lucarelli, Simona Vinci, Wu Ming, Luca Rastello, Piero Colaprico, Eraldo Baldini, Niccolò Ammaniti, Giancarlo de Cataldo, Massimo Carlotto, Marcello Fois e tre autori segnalati da Camilleri: Giacomo Cacciatore,Valentina Gebbia e Gery Palazzotto.

Abbiamo intervistato Sandrone Dazieri quale apripista della collana. Bestie è stato pubblicato nella collana VerdeNero Storie di ecomafia delle Edizioni Ambiente. Si tratta del primo romanzo uscito per loro.

Cosa è VerdeNero? e perché hai deciso di partecipare a questa iniziativa editoriale?
VerdeNero è una collana delle Edizioni Ambiente, che, nonostante il nome e la collaborazione costante, giurano di essere indipendenti da Lega Ambiente. Ho deciso di partecipare perché mi sembrava un'ottima idea parlare di ecomafia attraverso romanzi noir. Peraltro
, il noir come lo intendo io mette sempre i piedi nel piatto del presente, anche senza diventare tesi o inchiesta giornalistica. Che non so fare e non sono interessato a fare in un romanzo. Quindi un noir, che tocca temi come il contrabbando di animali esotici, ma soprattutto un noir.

VerdeNero si limita alla pubblicazione di libri (o prevede anche incontri, dibattiti, workshop ecc.)?
Fanno un sacco di dibattiti. Ho partecipato solo a un paio di incontri, ma
loro ne organizzano sempre. Spesso con Lega Ambiente.

Lo hai scritto ad hoc o stavi già lavorando su un tema del genere?
Ad hoc. Solo che il personaggio mi frullava in testa da anni, perché ho fatto il cuoco per un po', e mi sembrava un ottimo spunto per un personaggio patibolare come il mio pr
otagonista.

Credi che il nero possa raccontare e sviscerare i
problemi del verde?
In genere la letteratura può parlare di qualsiasi cosa.

La narrativa si sta avvicinando e/o mescolando al reportage?
In certi casi sì. come dicevo sopra, io non lo faccio, non più di qualsiasi scrittore che ambienti i romanzi nel presente, e che quindi è costretto a inserire elementi di attualità' in quello che fa.

Gomorra di Saviano potrebbe aver aperto o riaperto la strada in questa direzione?
Gomorra è soprattutto un ottimo romanzo letterario, ma di sicuro ha mutuato alcuni degli elementi del noir e del reportage in sé. Diciamo che il modello Saviano, come ho già avuto modo di scrivere, ha reso vecchia tutta la narrativa d'inchiesta che veniva prima. Il true crime, anche il noir classico, sembrano orrendamente obsoleti, ora.

È forse più efficace del giornalismo?
Bisogna capirci: efficace per cosa? Per denunciare? Per creare dibattiti? Per cambiare il mondo? Per denunciare è uno strumento altrettanto valido, per creare dibattiti è molto più efficace perché appassiona di più e va su un pubblico di non specialisti, per cambiare il mondo è ugualmente inefficace.

Ecomafia in due parole.

La distruzione dell'ecosistema a scopo di lucro operato da malavita organizzata, più o meno legata con le "classiche" cosche mafiose.

È una questione solo italiana?
No, è mondiale. Le scorie radioattive fanno il giro del mondo grazie a mafiosi di tutte le etnie, e di certo gli animali esotici non sono gli italiani ad abbatterli, non solo per lo meno. Noi abbiamo delle specialità, come l'abusivismo edilizio e una impunità che si trova solo nei paesi in via di sviluppo.

lunedì, giugno 18, 2007

Dieci tesi sull'elettronica non democratica

Dopo il saggio di Castells linkato in un precedente post qualche settimana fa - sempre in tema di network society e dintorni - intitolato Comunicazione, Potere e Contropotere nella network society, ho pensato di offrirvi in due "puntate" le seguenti dieci tesi (cinque+cinque) di Geert Lovink e Ned Rossiter presentato a Berlino nel corso di un convegno tenutosi tra il 3 e il 5 Giugno 2007 presso la Rosa Luxenbuge Fundation. Il testo riprende alcuni dei temi già trattati dagli autori ne L'alba dei network organizzati per svilupparli in parte in nuove prospettive; il titolo del testo è Dieci tesi sull'elettronica non democratica e, per non appesantirne la lettura, verrà qui postato - come detto - in due momenti diversi.

Quelle che seguono sono le prime cinque tesi...


1) Benvenuti nelle politiche della diversione. C'è un crescente paradosso tra, da una parte, il disimpegno di fatto esistente, "l'impero della debolezza delle strutture" e, dall'altra, il desiderio di organizzarsi in forme tradizionali quali i sindacati, i partiti e i movimenti. Gli attivisti, particolarmente quelli che appartengono alla generazione del baby-boom, non amano speculare sul potenziale dei network, perché ritengono fluttuino troppo, un'ansia dovuta probabilmente all'instabilità dei loro fondi pensione. I network sono noti per la loro irregolarità e insostenibilità. Anche quando riescono a crescere in modo imprevedibile, e hanno le potenzialità per realizzare una politica globale in tempo reale, si spappolano con la stessa velocità. Come le chiese Protestanti e le sette Cristiane, i partiti della sinistra e le organizzazioni sindacali preferiscono offrire alle persone strutture necessarie alla loro esistenza. E' problematico trovare argomenti contro il salutare, terapeutico significato che queste organizzazioni possono assumere in una società sottoposta a una forte pressione disgregatrice. Rileviamo però che queste due strategie rispondono a modelli differenti. Esse non competono fra loro, ma non si integrano necessariamente l'una con l'altra.

2) Traiamone una sintesi. Think Global Act Local. Suona ovvio, e dovrebbe esserlo. Ma cosa occorre fare in una situazione di crescenti differenze, strappi e tensioni? E' ingenuo pensare che i capi delle vecchie organizzazioni sindacali saranno contenti di cedere le loro posizioni, allo stesso modo in cui i partiti politici non rischieranno le loro prebende istituzionali per qualche avanguardia digitale. Il poblema verte allora sul come organizzare coalizioni temporanee ben consapevoli delle profonde differenze di interessi e di culture. E' noto come ciò avvenga in modo analogo tra gli attivisti bloggers e ancora, per esempio, fra i Fratelli Musulmani in Egitto. Senonché, piuttosto che "gestire" le tecnologie dirompenti, andrebbe presa in considerazione l'ipotesi di situarsi radicalmente dalla parte delle nuove generazioni e di abbracciare la dirompenza. E' giunto il momento, per le politiche radicali, di prendere il posto di guida e reprimere ogni risposta compulsiva che insiste sulle "dannose conseguenze". Sbarazziamoci delle pedagogie moraliste e cerchiamo di dare forma al cambiamento sociale che prefiguriamo.

3) La crescita applicata è il nuovo orizzonte. Come craccare il tabernacolo della crescita e dell'eterogenesi dei fini per giungere alla proliferazione di una contestazione dalle potenzialità rivoluzionarie?
A giudicare dalla tendenza dei network a regredire nei ghetti dell'autocelebrazione (le moltitudini sono tutti gli uomini) si direbbe che i network hanno già coinvolto "il politico". La coalizione in progress che è attenta al movimento di crescita trans-scalare costruirà a questo scopo una relazione di immanenza tra i network e il politico. E questo faciliterà enormemente la comprensione teoretica e analitica dei network. La tensione spinge al limite il desiderio di esprimersi e di agire. Per i network è il momento di mettersi al lavoro.

4) Fantastichiamo intorno a Indymedia 2.0. Basta con la neutralità di wikipedia. Dove sono i siti di social networking per i mediattivisti?
La nave ammiraglia del "movimento per l'altra globalizzazione" in Internet, Indymedia, non è stata rinnovata dal momento del suo varo, nel tardo 1999. Naturalmente il sito è cresciuto - attualmente ce ne sono versioni in dozzine di lingue con una varietà di nodi locali e nazionali che è raro vedere altrove in rete. Però la base concettuale è rimasta la stessa. I problemi sono stati identificati parecchio tempo fa: c'è una diffusa confusione tra il modello dell'agenzia di notizie alternative, il livello dell'organizzazione pratica della "community" e il dibattito strategico. Troppo spesso Indymedia è usato come una CNN alternativa. Non c'è niente di sbagliato in questo, eccetto il fatto che la natura stessa delle industrie corporative delle informazioni sta cambiando a sua volta.

5) La rivoluzione sarà partecipativa o non sarà. Se non si convoglia il desiderio non accadrà un granché. Youtube e Myspace sono alimentati senza risparmio di desiderio. Piaccia o meno, sono considerati la punta d'eccellenza dei media partecipativi. Ma difficilmente fomentano focolai di mediattivismo. Linux geeks - abbandonate la nicchia del cartello del software libero.
La politica degli acronimi, dal G8 al WTO, ha fallito precisamente perché la sintesi dei complessi movimenti interni al capitalismo globale non si traduce adeguatamente nella confusione del nostro quotidiano. Per contro, il movimento dell NGO (Organizzazioni non Governative) al suo meglio (ci risparmiamo un catalogo dei fallimenti) ha dimostrato l'efficacia dei network localizzati. Il problema della crescita trans/scalare, tuttavia, rimane. Ciò si è reso evidente nel modello di governance multi-stakeholder adottato da governi, imprese e e società civile nel corso del Summit Mondiale delle Nazioni Unite sulla Società dell'Informazione (WSIS). Qui abbiamo visto qualche organizzazione della società civile trovare una sedia al tavolo dei negoziati, ma non si è trattato di molto più che di una temporanea operazione di facciata. Allo stesso tempo, mentre gli appartenenti alla società civile salivano la scala della legittimazione politico/discorsiva, la logica dei loro network andava fuori corso. Questo è il nodo che affrontiamo quando parliamo di ciò che si trova collocato tra network apparentemente privi di struttura e organizzazioni strutturate. L'ossessione per la democrazia fornisce un diverso registro per leggere questa condizione socio-tecnica.

venerdì, giugno 15, 2007

europeanrights

Non mi ricordo se già avevo segnalato il sito europeanrights, al limite perdonerete la ridondanza. E' comunque un utile strumento per cui vale la pena rischiare una ripetizione, visto che è uno dei siti più aggiornati e attenti alla produzione giurisdizionale europea e, in particolare, alle normative inerenti i diritti fondamentali dei cittadini europei. Un pò tecnico, ma potenzialmente molto utile...

quella che segue è la presentazione del sito.

www.europeanrights.eu Il sito (in tre lingue comunitarie: inglese, francese e italiano) offre un monitoraggio sistematico del materiale giurisdizionale, normativo o anche d'altra natura connesso con la tutela dei diritti fondamentali in Europa. A tale scopo nel sito vengono periodicamente immessi i dati necessari per identificare e consultare: 1) le norme di matrice europea e altri atti e provvedimenti provenienti dall'Unione europea o dal Consiglio d'Europa riguardanti la protezione dei diritti fondamentali; 2) le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte di giustizia delle Comunità europee e le decisioni dei giudici nazionali che applicano norme o principi a carattere europeo in tema di diritti fondamentali.

Le informazioni sono ordinate avendo come schema di riferimento i diritti sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza) e un lemmario ricavato dalla stessa Carta.
Ogni documento inserito è riassunto nei suoi contenuti essenziali e, nei casi più rilevanti, è corredato di un commento più ampio. Particolare attenzione viene riservata alla questione dell'efficacia della Carta di Nizza, alle interpretazioni innovative della giurisprudenza e al rapporto tra le Corti. Sarà quindi possibile all'utente ricostruire con facilità, diritto per diritto, l'evoluzione del quadro giuridico.

Il sito costituisce il supporto essenziale e la base documentale di un progetto più ampio di costruzione di un "Osservatorio sui diritti fondamentali in Europa" che, attraverso convegni, ricerche, collaborazioni con altre istituzioni, università, riviste e associazioni, mira a sviluppare l'attenzione su questo tema essenziale per il processo di integrazione, in un dialogo allargato tra operatori del diritto, studiosi e cittadini dell'Unione europea.

Il Sito annovera tra i suoi promotori: La Fondazione Lelio e Lisli Basso – Issopo; il
Centro interdipartimentale di ricerca sul diritto delle Comunità europee (CIRDCE) e l'Associazione Magistrati europei per la democrazia e la libertà (MEDEL).

La libertà al check-in della sicurezza

di Federico Rahola - da il manifesto del 13 giugno 2007

In tutti gli aeroporti dei paesi dell'area Schengen esiste un doppio regime di uscita, per cittadini di stati membri ed «extracomunitari». I passeggeri sbarcati si dispongono ordinatamente e procedono su due file a velocità differenziata. Tra le file passano occhiate furtive, gare nevrotiche verso un traguardo che si risolverà nel passaggio rapido, con o senza controllo di un documento, oppure nel vaglio più attento, a volte esasperatamente lento, di passaporti e visti. Così, carsicamente, da una «semplice» pratica prende corpo una percezione selettiva: i cittadini di quell'ancora indefinita nozione politica che si chiama Europa assistono alla messa in scena di controlli, fermi, perquisizioni (e con sempre maggiore frequenza anche al rilevamento di impronte e dati biometrici) che impongono una definizione su chi li subisce, scartandone implicitamente altre, e che letteralmente «fanno paura». Rovesciando Hegel, verrebbe da dire che è la materialità delle pratiche a determinare l'astrattezza del concetto (Europa). La domanda comunque è più immediata: perché mai ogni discorso su migranti, rifugiati e richiedenti asilo viene inquadrato come una questione di sicurezza? Cosa c'è di ineluttabile in questo slittamento?

La svolta sicuritaria

È da qui, dal disagio nei confronti di risposte che finiscono per assumere implicitamente la legittimità di un tale slittamento, che prende le mosse Politics of Insecurity (Routledge, 2006) di Jef Huysmans, docente di relazioni internazionali alla Open University. Non si tratta infatti di vedere se la politicizzazione delle migrazioni come «pericolo» e la loro traduzione in termini di sicurezza si fondi su basi reali o immaginarie. Piuttosto occorre interpretare la sicurezza, o meglio il sapere e le tecniche di sicurezza, come insieme di pratiche che definiscono quella che Huysmans chiama la politica dell'insicurezza: «l'insicurezza come campo si produce colonizzando la vita sociale con strumenti e criteri di sicurezza». A prima vista potrebbe sembrare la riedizione di una vecchia lezione economica: sono le politiche di sicurezza a generare l'insicurezza, l'offerta definisce la domanda. Il fatto è che le politiche di insicurezza trascendono la gestione di un determinato «pericolo» e pure la natura e il grado della minaccia stessa, puntando molto più in alto.
Ma procediamo con ordine, seguendo Huysmans.

Continua qui.

giovedì, giugno 14, 2007

Biciclette bianche e altro

Matteo Guarnaccia - da rivista anarchica

La bicicletta è sempre stato uno strumento primario di iniziazione e di libertà. Innanzi tutto è un'esperienza che viene trasmessa in maniera amorevole (avete mai visto qualcuno che insegni a pedalare a un bambino in malo modo?). È un'iniziazione in piena regola: c'è la perdita di sangue e la ferita che segna il distacco da una condizione precedente (le ginocchia sbucciate). C'è la meraviglia di sentire il corpo entrare in automatica, dopo aver superato la goffaggine iniziale. La realizzazione che, come nuotare e fare l'amore, pedalare è un atto programmato nel nostro DNA, un atto che ci rende coscienti del fatto che il vero equilibrio è nel movimento e non nella staticità.

La bicicletta è a tutt'oggi un modello insuperato di veicolo socialmente responsabile, romantico (mai portato nessuno in canna?), silenzioso, non stressante e che si muove grazie ad una fonte di energia rinnovabile e non inquinante (in culo alle multinazionali degli idrocarburi!). Andare in bicicletta non implica alcuna stupida esibizione di potenza, richiede solo ottimismo e coraggio (dare le spalle alle automobili è un vero atto di fede affrontato dal nostro guerriero interiore). I popoli precolombiani usavano la ruota per i giocattoli dei bambini ma non per il trasporto; i tibetani la usavano come mezzo di propulsione per le loro preghiere ma non per il trasporto, la bicicletta è la splendida sintesi dei possibili usi della ruota: gioco, trasporto e preghiera.

È sintomatico che la due ruote sia sempre stata, sin dalla sua comparsa, intimamente legata al concetto di libertà. Pochi se ne rendono conto ma la bicicletta è stata anche il volano dell'emancipazione femminile a cavallo del secolo scorso. Per la moralità e per la scienza medica del periodo pedalare era un'attività "disdicevole" per signore e signorine; il sellino era accusato di incoraggiare l'onanismo femminile e le distoglieva dal loro ruolo di madri e mogli. Senza considerare il fatto che l'abbigliamento muliebre era quanto mai inadatto alla faccenda. Per pedalare si dovevano mostrare le caviglie (orrore!) e ci si doveva sbarazzare dei vari busti e corsetti che costringevano le povere spine dorsali a posizioni innaturali e che rendevano impossibile quel genere di attività fisica. L'abbandono delle stecche e l'accorciamento delle gonne (e persino l'uso delle gonne pantalone) nascono proprio dal boom della bicicletta. I primi movimenti femmisti europei avevano nella bicicletta un simbolo irrinunciabile.


La patafisica, il movimento anticipatore del surrealismo creato dallo scatenato Alfred Jarry è indissolubilmente legato alla sua fiammante bicicletta da corsa. La scoperta dell'LSD da parte dello scienziato svizzero Albert Hofmann nel 1943 è tutt'uno con la sua mitica pedalata fatata per le vie di Basilea. Difficile pensare alla lotta di popolo dei vietnamiti senza lo strabiliante sistema di rifornimento condotto da sgangherate biciclette che attraversavano i sentieri nella giungla portandosi in groppa persino gli obici. Uno degli strumenti infallibili per misurare la civiltà di un paese è lo spazio che esso offre ai propri ciclisti (paesi scandinavi in testa, paesi mediterranei in coda).


In Olanda agli inizi degli anni '60 in pieno boom automobilistico, proprio quando tutti, ma proprio tutti, sognavano la loro bella quattroruote, si fanno notare degli strani personaggi che vanno totalmente controcorrente. Sono i Provos, un gruppo di anarchici dadaisti e zuzzurelloni, a cui spetta la palma di avanguardia di quella contestazione giovanile che verso la fine del decennio infiammerà l'intero occidente. I Provos nutrivano un senso di frustrazione e di rigetto nei confronti della società consumista e alienante, per usare le loro parole, si sentivano in questo mondo "come ciclisti su un'autostrada".

Scelsero la bicicletta come santo strumento tribale, arma comunitaria contro i comportamenti antisociali degli automobilisti che agivano (e agiscono) indisturbati contro l'ambiente coperti dalla grande industria e dalla polizia.
Gli automobilisti amorevolmente coccolati dagli spacciatori di petrolio e dai cementificatori, erano (e sono) il "braccio armato" di uno stile di vita che ormai andava inesorabilmente modellando la geografia del pianeta. Il piano era (ed è) distruggere il tessuto umano dei quartieri storici creando un mondo in cui fosse impossibile andare a scuola, al lavoro, a far la spesa, a curarsi e a divertirsi senza poggiare il culo su un autoveicolo, senza pagare il balzello all'industria e allo stato e senza devastare il territorio).

I Provos osano sbeffeggiare il simbolo della crescita economica, il dogma della modernità, rivendicando il diritto di camminare per la città senza venir minacciati fisicamente da bande di psicopatici aggressivi rinchiusi dentro una scoreggiante scatola di ferro. I Provos soprattutto rivendicano il diritto e il piacere di non seguire i modelli di consumo e di non consumare. Dotati di una formidabile capacità di spiazzare le autorità e di dar vita a fantasiose pratiche di disobbedienza civile, restano vivi nella memoria dei più per il famoso "piano delle biciclette bianche", la messa a disposizione della cittadinanza di Amsterdam di un certo numero di biciclette collettivizzate. Biciclette sempre aperte a disposizione di chiunque se ne volesse servire, un mezzo di trasporto gratuito, una provocazione contro la proprietà privata capitalista. "La bicicletta bianca è anarchica e simboleggia semplicità e igiene di fronte alla cafonaggine e alla zozzeria dell'automobile. Una bicicletta non è nulla ma è già qualcosa". Un atto ecologico (anche se allora la parola ecologia non era esisteva ancora).

I Provos scelsero di dipingere le bici di bianco - dopo aver scartato l'idea di farle rosse e nere, come la bandiera anarchica - per il semplice fatto che le loro azioni avvenivano prevalentemente di notte. Un bel numero di cittadini, rispondendo ai loro appelli, si reca nel luogo di raccolta, offre le proprie biciclette e le dipinge di bianco, mettendole a disposizione del provotariato. Il successo è immediato e l'operazione accende l'immaginazione di altri gruppi consimili da Stoccolma a Berkeley, da Praga a Oxford (motto dell'iniziativa "Il bianco annulla tutto, soprattutto la proprietà).
Un famoso gruppo psichedelico inglese i Tomorrow lancia un brano delizioso, My White Bicycle, che diffonde il messaggio libertario persino nella hit parade. (Anche in Italia Caterina Caselli incide un brano dedicato alla provocazione provo).


Ma il segnale più evidente del successo del piano biciclette bianche è la risposta della polizia. Le autorità reagiscono immediatamente e in modo ridicolo: vengono sequestrate una cinquantina di bici in giro per la città. La giustificazione è che non essendo chiuse col lucchetto rappresentano un istigazione al furto. In pratica è la polizia a rubarle, visto che non le restituirà più ai legittimi proprietari, i cittadini di Amsterdam. In una società in cui vige la proprietà privata, ciò che è gratis è illegale e pericoloso.

I ladri di biciclette in divisa non fanno altro che promuovere il piano provo, attirando attirando nelle loro file un numero crescente di sostenitori e spingendo l'opinione pubblica a solidalizzare con loro.