giovedì, gennaio 10, 2008

La fuga in avanti: precisazioni e chiarimenti dell'autore

di Manolo Morlacchi - da carmillaonline


La fuga in avanti è uscito nelle librerie da qualche settimana e ci sono alcune osservazioni, provocazioni, domande, che appaiono in modo ricorrente nelle presentazioni a cui partecipo e nelle recensioni che ho potuto sin qui leggere, in particolare, la segnalazione di Wu Ming 1 su Nandropausa. Quindi mi sono convinto della necessità di approfondire alcune questioni intorno al mio libro.

Lungo le pagine de La fuga in avanti descrivo a più riprese con grande enfasi e nostalgia il clima in cui ho trascorso gli anni della mia infanzia e adolescenza, suppergiù dal 1975 al 1985. Questa descrizione può sollevare qualche fastidio o perplessità tra chi ha vissuto in prima fila quella stagione politica e ne ha pagato duramente le conseguenze. Ma la mia lettura è volutamente provocatoria. E’ il tentativo di porre in relazione tra loro i profili umani e sociali di chi decise di andare allo scontro con lo Stato, rispetto ai profili umani e sociali con cui siamo abituati a convivere oggi. E’ il tentativo di dimostrare come, in ultimo, quei nomi e cognomi siano gli stessi di allora; che non si tratta di biografie personali, ma di vicende collettive, di opportunità politiche e rivoluzionarie, di questioni molto materiali. E’ il tentativo di intervenire sulla vulgata comune, secondo la quale gli anni ’70 sono stati un medioevo contemporaneo, plumbeo e segnato dall’ultraideologia.

I miei ricordi mi descrivono una realtà diversa. Nel mio quartiere, il Giambellino, negli anni ’70, i proletari erano dalla parte delle Brigate Rosse. Tante sono le testimonianze a riguardo. Tutti sapevano chi fossero i clandestini; capitava che gli stessi clandestini te li ritrovavi a cenare o a bere nelle trattorie e nei luoghi di ritrovo del Giambellino, alla Bersagliera o alla Cooperativa, senza che nessuno avesse qualcosa da ridire (e non si trattava di paura). In Piazza Tirana le BR tennero alcuni comizi pubblici senza che la polizia intervenisse. Sui tetti delle case popolari spesso comparivano bandiere rosse con la stella a cinque punte. Gli stessi militanti del PCI sapevano chi si nascondeva dietro le Brigate Rosse, ma nella peggiore delle ipotesi ci convivevano. Mio padre era così legato alla sua storia nel partito che, negli ultimi anni della sua vita, si iscrisse a Rifondazione Comunista e festeggiò la prima vittoria di Prodi su Berlusconi!
Chi scrive non intende certo separare la storia delle Brigate Rosse avventuriere e romantiche, rispetto alla storia delle Brigate Rosse sanguinarie e militariste. Esiste una sola storia della lotta armata in Italia e mio padre ne fece parte appieno dal 1970 a quando uscì di prigione nel 1986. Rimase impermeabile a ogni tentativo di alleggerire la propria condizione di prigioniero, senza cercare le scorciatoie della dissociazione o l’infamia del pentitismo. Le sue critiche e le sue perplessità sull’Organizzazione le riservò sempre ai compagni con cui condivideva la propria irriducibile avversione al sistema borghese.

Ciò che mosse quei personaggi del Giambellino e i tanti che li seguirono, era una spinta molto materiale che proveniva da lontano e non rappresentava il frutto di una elaborazione da salotto universitario. In loro si riassumevano tante lotte: la Resistenza al nazifascismo, la fame patita durante e dopo la guerra, le lotte operaie nelle fabbriche degli anni ’50, la rottura con il PCI e il sostegno alla Cina, al Vietnam, a Cuba, alle lotte anticolonialiste africane. Infine, il 1968 e la dialettica difficile con gli studenti, “la futura classe dirigente del Paese che intendeva guidare i cortei”.

Fu questa loro coerenza pratica, prima ancora che intellettuale/ideologica, a rendere particolari quei compagni ed esaltante la mia infanzia. Sapevi chi avevi di fronte. Sapevi che quei personaggi li trovavi a giocare a dadi con la malavita alla stazione ferroviaria di San Cristoforo in piazza Tirana, ma quando c’era bisogno di altro su di loro potevi contare senza dubbi.
Queste sensazioni ho cercato di trasferirle nelle pagine del libro, tentando di evitare ogni reticenza. La fuga in avanti è un libro partigiano che intende porre nel solco delle lotte rivoluzionarie del secolo scorso l’esperienza della lotta armata in Italia. Il mio libro non ha alcun intento pacificatorio. E’ il tentativo di capire gli errori e le conquiste di quell’esperienza a uso e consumo di chi continua a credere che la società del profitto sia un abominio contro cui bisogna combattere.

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