mercoledì, febbraio 20, 2008

Hollywood, picchetti vincenti per i lavoratori

di Sergio Bologna - tratto da il manifesto del 19 febbraio 2008

Mentre l'Italia registrava l'ennesima morte sul lavoro e le lacrime di coccodrillo da sottile rivolo diventavano torrente in piena, io passavo ore a seguire sul video del mio computer di casa le vicende dello sciopero degli sceneggiatori americani. Non è per raccontarlo, meglio di me altri lo hanno fatto, ma per riflettere sulle possibilità della comunicazione oggi che propongo queste considerazioni. Per dire che il soggetto è doppio, noi che seguiamo da lontano e loro che laggiù agiscono e la riflessione va fatta su tutti e due, perché ambedue siamo coinvolti in un processo di trasformazione. Perché ci ho speso del tempo? Perché ormai i comportamenti conflittuali dei «lavoratori della conoscenza» e della «classe creativa» sono diventati il centro della mia riflessione; ritengo questa una delle componenti sociali più dinamiche in tutti i sensi.

L'industria dell'entertainment produce più occupati dell'industria dell'auto e le forme lavorative al suo interno sono dominate dalle figure tipiche del lavoro postfordista, intermittente, mobile, intellettuale, pressato dalle nuove tecnologie ecc... «Devastante» è stato definito questo sciopero e qui è un altro punto importante: ci sono categorie che possono bloccare il processo produttivo e portarlo alla paralisi, dunque dispongono di potere contrattuale. Ma possono farlo se tengono duro tre mesi.
I sindacati si chiamano «gilde» (la Writers Guild of America West che ha bloccato Hollywood e la Writers Guild of America East che ha bloccato Manhattan, 12mila iscritti circa) e qui si conferma il ritorno alle forme originarie, persino medievali, dell'associazionismo operaio, si conferma il valore del mutuo soccorso (da poco è nata negli Usa la gilda delle mamme imprenditrici, di quelle che hanno figli e debbono portare avanti un'azienda, le «mompreneurs» e altro non sono al 75% che lavoratrici autonome, freelancers, vedi il sito www.moms-for-profit.com).

Come altro avrei dovuto seguirlo questo sciopero? Mandando un mail? (please let me know more...). Aspettando che uscisse un libro? Telefonando ad amici in Canada per vedere se ne sapevano di più? Mandando un sms a Patric Verrone? Sono incerto se ritenere più importante la lotta o la produzione d'informazione sulla medesima, due processi creativi e di trasformazione diversi e che si cumulano. Resti di stucco di fronte a siti dove hai tutte le informazioni che vuoi, minuto per minuto, dove ti puoi vedere video in diretta, gallerie di foto e migliaia di blog, di storie personali, di testimonianze su come la lotta ha cambiato le persone.
Un certo Mark Kunerth dice che la picket line non la mollerà mai, anche se dopo una giornata in cui ha girato in tondo ha percorso 29 miglia, perché per lui la gilda è stata più di una famiglia e racconta una storia terrificante, di una moglie incinta che scopre di avere un cancro al cervello e il sindacato gli sta vicino, procura gli specialisti giusti, le cliniche giuste, l'assicurazione con cui riesce a pagare le cure. Oggi moglie e figlia stanno bene. Gli sceneggiatori hanno una lunga storia di lotte, che risale agli anni 60.

La loro controparte è l'Amptp, l'Alliance of Motion Pictures and Television Producers, che ha sede a Encino (California), ne fanno parte gli otto colossi del settore, dalla Fox alla Disney, dalla Nbc a Viacom. Ogni tre anni rinnovano il contratto, il Minimum Basic Agreement (Mba) cui vengono aggiunte altre clausole. Stavolta la richiesta della gilda era importante: gli sceneggiatori volevano una fetta della torta rappresentata dai nuovi supporti, internet, dvd, videofonini ecc.. Ed è su questo che lo scontro si è inasprito. Convinti di logorarli, l'Amptp ha tenuto duro ed è accaduto il contrario. Il fronte padronale si è sfaldato, una a una le piccolo-medie case produttrici hanno firmato contratti separati, mentre i 12 mila compatti andavano avanti sotto una crescente solidarietà, che andava dalla Screen Actors Guild (Sag), che ha il contratto in scadenza nel giugno 2008, ai vecchi Teamsters e all'International Longshore and Warehouse Union, due sindacati dei lavoratori dei trasporti e della logistica (dice niente?).

Sono commoventi le foto dove vedi vecchie glorie del cinema, ottantenni, novantenni, in carrozzella, sfilare coi giovani e inalberare cartelli, c'è una solidarietà intergenerazionale e professionale sorprendente. I membri della gilda erano tenuti costantemente informati dei negoziati, un rapporto tra base e vertice di grande fiducia (anche se all'approvazione dell'accordo finale ci saranno un po' di contrari). La comunicazione via internet è garanzia di questa trasparenza, di questo rapporto democratico. È Richard Freeman che, alla fine degli anni 90, aveva intravisto le grandi possibilità che internet offre all'organizzazione sindacale, all'associazionismo dei lavoratori («Will unionism prosper in cyberspace? The promise of the internet for employee organization» sul British Journal for Industrial relations del settembre 2002). Ma internet richiede un'organizzazione fitta e competenze sofisticate. Per tenere in piedi per tre mesi siti come www.wga.org oppure www.unitedhollywood.com occorre avere una struttura in grado di reagire in tempo reale, un giro di uomini e donne che manco una multinazionale riesce a mobilitare. Oppure è la mia ignoranza di settantenne che piglia abbagli?

Avere potere d'interdizione, di blocco del processo produttivo, oggi ancora non basta, occorre essere collocati in posizioni di grande visibilità e il mondo del cinema è uno di questi. I militanti di Wga hanno bloccato la consegna dei Golden Globe, un business miliardario. La controparte ha ceduto pochi giorni prima della consegna degli Oscar, perché gli sceneggiatori erano pronti a bloccare anche quella. Il loro sciopero ha lasciato a casa decine di migliaia di lavoratori del ciclo produttivo, appartenenti ad altre categorie. L'Amptp sperava che si rivoltassero e rompessero i picchetti, ma non è accaduto e questo vuol dire qualcosa.
Mentre rivedo gli appunti per l'articolo, i testi che ho scaricato, mi viene un'illuminazione. Non ho visto nessun sociologo, nessun professore pontificare su quella lotta, nessuna sentenza sputata da salive accademiche, miracolo! Stare davanti al video e seguire in diretta questi eventi è come assistere al ricostituirsi di tessuti per anni intaccati dalla metastasi del neoliberalismo, dell'individualismo, dell'ideologia del fai-da-te, è tornare a vedere uomini e donne che fanno la cosa più elementare del mondo: difendere la propria condizione di lavoratori. Una cosa familiare per noi un tempo, oggi diventata rara.

Su Rai3, qualche sera fa, è passato il film di Francesca Comencini In fabbrica. Qui c'è la classe operaia vera, te la ricordi? Diamine, riconosco luoghi, volti, situazioni. Manca un sacco di roba, la chimica tanto per dire, manca la Madre di tutte le lotte, quella degli elettromeccanici milanese del '60. Ma non importa, va bene lo stesso e alla fine il capolavoro, le ultime interviste a metalmeccanici di oggi. Due immigrati-zio Tom e due ragazze spente, un capetto contento di essere competitivo. Ecco come li hanno ridotti un quarto di secolo di cure. Torno al video: la Sinistra, dice una notizia, rimette al centro il lavoro. Avrebbe dovuto farlo vent'anni fa. Oggi non sa nemmeno cosa sia il lavoro.

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