martedì, giugno 03, 2008

Costretti all'antifascismo

di Mario Gamba
da deriveapprodi

Ed eccoci di nuovo immersi nell'antifascismo. Non lo avevamo previsto. Non siamo sicuri che sia ben fatto mettersi a farlo. Scelta politica occasionale? Dopo aver tanto puntato su ben altri tipi di conflitti: ad esempio, tra un inquieto precariato cognitivo e i mobili assetti di poteri finanziari/politici, tutto sul terreno dei linguaggi cercando di avvicinare il punto di crisi, l'incompatibilità mortale. Arretramento obbligato? Forse è meglio non impigliarsi in simili interrogativi, forse è inevitabile che essi vengano messi sul piatto. Occorre far politica. Vuol dire pronunciarsi con i propri discorsi su tutto ciò che accade, cronaca compresa. Vuol dire intervenire a largo raggio, non essere assenti quando l'imbarbarimento della vita pubblica assume aspetti preoccupanti. Vuol dire richiamare l'attenzione su un fatto: un apparato mediatico che sembrava motivato dal sensazionalismo (più copie vendute, ascolti record, ecc.) ben presto si trova a fiancheggiare e motivare a sua volta, in termini squisitamente politici, compagini di governo e di "opposizione" (quante virgolette servirebbero?) che producono violenza xenofoba, leggi speciali, virus razzisti, aggressioni sessiste. E queste compagini ottengono proprio sul terreno di una inaudita esibizione autoritaria un consenso quasi "bulgaro".

Impressiona il sondaggio di Ballarò: siete d'accordo o no con l'introduzione del reato di clandestinità, con l'esercito a presidiare le discariche, con le espulsioni in massa di stranieri irregolari? Sì, il 70 o 75 per cento. Cifre che spazzano via anche le distanze elettorali tra i due partiti dominanti. Segno che queste distanze dal punto di vista delle posizioni politiche non c'erano. Succede che un quartiere ex proletario promuove un pogrom anti-rom, succede che cinque tipacci neonazisti uccidono a Verona un ragazzo poco entusiasta di loro, succede che una banda coatta distrugge negozi di integratissimi stranieri al Pigneto di Roma, succede che un migrante muore nel Cpt di Torino (da domani si chiamerà Centro di Identificazione e di Espulsione, cercasi pd che trovi la nuova dizione almeno imbarazzante) perché nessuno si è adoperato per soccorrerlo. E il partito neonazista Forza Nuova va in tv e voleva andare alla Sapienza, Facoltà di Lettere, a coronare questa sequenza di avvenimenti, magari a celebrare l'inizio di un processo politico di cui potrebbe essere ispiratore.

Si può non esserci? Si può non prendersi la responsabilità di chiarire con l'azione, con le iniziative più varie, comprese quelle che prevedono resistenze e attacchi di forza, che non è il caso di cadere nell'abisso? Che non è il caso di dover confidare nel buon Berlusconi, leader massimo, certo, ma propenso a un balletto liberale, se non altro, refrattario per formazione e per interesse alle cupe atmosfere da Ku Klux Klan (e Striscia che fine farebbe?). Non c'è nessun altro che si possa prendere questa responsabilità al di fuori dei movimenti. Di quanto rimane dopo divisioni, regressioni, standardizzazioni pseudopacifiste. E così ci ritroviamo a praticare l'antifascismo. Era negli anni Settanta l'illusoria risorsa di un movimento che moriva. Nel '77 (quando rifioriva) non se ne parlava mica tanto. Siamo costretti all'antifascismo. Sapendo che se non riusciremo in fretta a metterlo da parte, tra i ferri vecchi, se non faremo circolare il più possibile le nostre idee creative e le nostre forme di vita più libere e suggestive, se non diffonderemo il nostro tipo di "contagio", non ci salveremo nemmeno da un poco prevedibile ritorno del fascismo organico.

Foto di Bryce Edwards [Antifa], con licenza Creative Commons da flickr

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